VOCE
Il caso
14.06.2018 - 21:49
Tutto ruota ancora attorno al tanko, ovvero al quella ruspa, blindata ed armata con due cannoncini di dubbia utilità, costruita in un casolare di Casale di Scodosia nell’inverno fra 2013 e 2014. Quel tanko che gli indipendentisti di Eugenio Rocchetta (lui, ex parlamentare, era il capo politico indiscusso del movimento) volevano usare per dare l’assalto allo Stato, per ripetere la storia dei “Serenissimi” che a bordo del progenitore della ruspa erano arrivati in piazza San Marco.
Ma lo Stato può avere paura di loro? Il loro fu un vero attentato alla sicurezza nazionale? Fu vera eversione?
E’ questa la domanda a cui dovranno rispondere i giudici di Rovigo, dove il processo è rimbalzato da Brescia.
Rovigo, perché Casale di Scodosia ricade sotto la Procura polesana, e lì si è compiuto il misfatto: è stato costruito il tanko. E sono state fatte pure le prove di fuoco (andate decisamente male, secondo la ricostruzione dell’epoca fatte dai Ros).
I 47 venetisti accusati di associazione eversiva saranno dunque giudicati a Rovigo. Si comincia sabato mattina, con tanto di zona rossa tutt’intorno a via Verdi, a tenere lontano eventuali manifestanti con la bandiera di San Marco.
Inizialmente per la schiera di “patrioti veneti” il capo di imputazione parlava addirittura di “associazione con finalità di terrorismo e di eversione dell’ordine democratico”, poi però l’accusa è stata ridimensionata ad “associazione sovversiva”. Il rischio è grosso: il capo d’imputazione prevede infatti una condanna fino ad un massimo di 10 anni di carcere.
Tra i venetisti alla sbarra, come si ricorderà, ci sono anche tre polesani, che nell’aprile del 2014 finirono in carcere: M. L. V., 52enne di Lendinara e titolare all’epoca di un bar a Badia, la figlia E. P., oggi 31enne, anche lei barista, e M. F., 52 anni, compagno della Violati ed uno dei costruttori materiali del tanko.
Per loro tre, così come per gli altri 44 affiliati a “L’Alleanza” (questo il nome del sodalizio) erano scattate le manette il 2 aprile del 2014 con l’accusa di avere reclutato affiliati; di essersi procurati armi e di aver costruito il tanko con cui prendere d’assalto piazza San Marco in nome dell’indipendenza.
Con il tempo l’eco per la loro impresa si è notevolmente affievolito, anche se ancora oggi c’è chi li rocorda come “quelli del tanko”, un misto di folklore e terrorismo, di rabbia contro lo Stato e di voglia di indipendenza. Una voglia di indipendenza che, sopra le rive del Po, non è mai esplosa ma a ben vedere non è neppure mai scomparsa del tutto e che ciclicmanete ricompare sotto le fattezze di un... tanko.
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