VOCE
L'intervista
05.01.2019 - 21:37
Ha attraversato il Polesine per assaggiare le sue prelibatezze e ammirare i suoi paesaggi. Alessandro Borghese, chef e volto televisivo di Quattro ristoranti martedì sera condurrà la trasmissione dedicata a quattro locali polesani.
Il suo viaggio nel Polesine e nel Delta del Po, cosa le ha lasciato? Cosa l’ha colpita di più?
“Il Delta del Po è un intricato labirinto, un territorio che nel corso dei secoli è stato plasmato dal continuo mescolarsi delle acque del Mar Adriatico e del Po. Il sole che sorge tra mare e lagune filtrato da una leggera nebbia mostra tutto il fascino e la bellezza di questi luoghi. La cultura enogastronomica di questo paesaggio rispecchia la sua natura incontaminata. Un ecosistema e una biodiversità nelle quali coesistono oasi naturali e attività umane nella più completa simbiosi. Sono innumerevoli le gustose prelibatezze che questo territorio, sospeso tra terra, mare e acqua dolce, offre ai suoi visitatori: ostriche rosa della Sacca di Scardovari, vongole, canestrelli, fasolari, tartufi, a cui abbinare vini pregiati e conosciuti come i vini delle sabbie. Sono rimasto piacevolmente sorpreso dall’anguilla, regina incontrastata delle valli e preparata seguendo antiche preparazioni. I sapori genuini e le golose tradizioni del Delta del Po sono difficili da dimenticare. Tornerò”.
Dei 4 ristoranti selezionati secondo lei ha vinto quello più indicato o c’era qualche altro potenziale vincitore che è stato escluso?
“Lo scoprirete guardando la puntata di “Alessandro Borghese 4 Ristoranti”.
In Polesine si parla molto del Parco e delle potenzialità turistiche del Delta del Po. Qualche suggerimento da esperto? Su cosa si potrebbe puntare?
“Il mondo della ristorazione è un business per chi riesce a renderlo tale. Ci vuole esperienza, studio, talento, non s’improvvisa in nessun campo. Ritengo che qualsiasi attività raggiunga un valido risultato con il fattore C: cultura, competenza, capacità e conoscenza del settore e dei suoi prodotti. Il talento non basta. Cucinare è un gesto quotidiano per molti; per altri pare sia il solo modo di cavalcare un’opportunità in un preciso periodo storico. Sbagliato. È come pensare di diventare un campione di calcio, solo perché giochi due volte alla settimana al campetto con gli amici. Oltre al talento ci vogliono impegno, disciplina e professionalità. I giorni in rosso del calendario vogliono dire lavoro e non riposo".
L'intervista completa sulla Voce di lunedì 7 gennaio.
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