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La storia

"In quella bisca c'è la mia vita"

Il racconto di un 68enne polesano

"In quella bisca c'è la mia vita"

“Dopo aver perso il lavoro, per una decina di anni ho mantenuto mia moglie e i miei due figli, giocando a carte. Perché magari non si vedono, ma in Polesine le bische ci sono, eccome”.

Una passione, quella del gioco d’azzardo. Un’attrazione morbosa. Per qualcuno addirittura un modo per tirare a campare. La storia è quella di Paolo, 68 anni, ex operaio metalmeccanico, divorziato, oggi in pensione. Uno di quelli che con le carte ci ha sempre saputo fare.

“Sì, così bene - racconta - che da giovane non sentivo proprio il bisogno di andare a lavorare”.

Oggi, dopo una vita fatta di alti e bassi, di vincite importanti e di sconfitte cocenti, non ha perso la sua “passionaccia”. Anche se per giocare va nel bar di un paese distante una trentina di chilometri da casa.

“Ci troviamo dopocena in un locale gestito da cinesi due sere alla settimana e giochiamo anche fino alle 3 di notte. Non guardiamo mai l’orologio quando giochiamo a carte, il tempo è l’ultimo dei nostri pensieri. Arriviamo spesso a fare mani anche da 500 euro”.

Del resto si chiama ludopatia. E’ la malattia dei giocatori, siano assidui del videopoker che del tavolo verde. “Non riesco a smettere, pur sapendo benissimo che comunque vada continuerò a perdere tempo. E dignità”.

Sulla "Voce" di giovedì 28 febbraio l'articolo completo.

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