VOCE
Economia
17.03.2019 - 19:45
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Dopo tre anni di attesa e di spauracchio Brexit, gli operatori economici italiani e polesani non ci credono più. L’ennesimo ritardo nella decisione del Regno Unito di uscire definitivamente dall’Unione europea, non convince gli imprenditori e gli osservatori che comunque sono preoccupati delle ripercussioni che una chiusura dei mercati britannici si registrerebbero anche in Italia e in Polesine.
Dalle ultime proiezioni in Polesine il danno per le aziende che fanno export verso il Regno Unito sarebbe di circa 7,7 milioni di euro, tra abbigliamento, prodotti alimentari, macchinari e prodotti in metallo.
Ma anche chi non lavora direttamente con l’Isola oltremanica, potrebbe soffrire della Britain exit. Lo sottolinea Natalino Tramarin, presidente della cooperativa Co.Fruta di Giacciano con Baruchella, azienda leader tra i produttori di mele, pere, kiwi, pesche che esporta in tutto il mondo.
“Anche se noi non abbiamo scambi diretti con il Regno Unito, Sicuramente non potremmo stare a guardare e basta, visto che tutti i prodotti che non riuscissero a varcare la frontiera con la Gran Bretagna andrebbero a ‘invadere’ gli altri mercati. E quando l’offerta è satura, ci sono grossi problemi di concorrenza e di prezzi”.
La Gran Bretagna, infatti, è un mercato che assorbe molto dell’agroalimentare italiano e l’eventualità che per Tramarin stesso diventa sempre più remota e “in alto mare”, del disordine negli scambi commerciali, lo preoccupa.
“Con il mercato globale nessuno può dirsi sicuro. Anni fa abbiamo affrontato l’embargo della Russia. Noi in quel caso eravamo diretti interessati. Ricordo che alla frontiera ci hanno bloccato un camion, due in Polonia. Era il 2014 e li abbiamo fatti rientrare. Non siamo riusciti più a entrare in quel mercato, per 4-5 anni, con un danno enorme per tutto il comparto agroalimentare”. La Russia, spiega ancora Tramarin: “Era un cliente che pagava bene, avevamo già i bonifici prima della partenza, stavamo portando pesche e kiwi. Con il tempo, invece, loro hanno fatto una politica di investimenti molto forte sulle loro stesse produzioni, con finanziamenti a fondo perduto per l’autosufficienza. La verità è che i vivaisti in questi anni hanno fatto affari d’oro, milionari, con la Russia, che ora ha mele, anche se non pere e kiwi”.
Un problema politico che l’economia, anche polesana, si è vista scaricare nel volume di affari, di punto in bianco. “Anche le aziende che producevano formaggi hanno avuto un danno enorme”.
Forse è anche per questo motivo che Tramarin preferisce considerare la Brexit una risoluzione che non avverrà mai. “Noi siamo già schiacciati dalla grande distribuzione. Siamo schiacciati da controlli costanti sui prodotti e da costi di produzione molto più alti rispetto ad altri paesi, come la Spagna. I prezzi che dobbiamo applicare non ci lasciano margini. A noi il sistema Paese non ci accompagna. Noi siamo una cooperativa che ha 60 anni di storia. Siamo entrati in Opera, l’organismo che raggruppa i produttori di mele e pere. Ma non siamo riusciti a raggiungere il 50% della filiera, che era l’obiettivo per essere competitivi nella grande distribuzione. Ora raggiungiamo il 22-26% con 150 milioni di fatturato. Sarebbe necessario che la politica ci aiutasse a fare aggregazione, incentivando le aziende che si uniscono”.
E invece guardiamo con orrore alla possibile uscita del Regno Unito dal grande mercato che è l’Ue. Insomma la Brexit avrà conseguenze per l’intera Europa.
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