VOCE
Il diario di viaggio
09.04.2019 - 21:15
Da Rovigo al tetto del mondo. Le due ragazze polesane che hanno raggiunto l’Everest non sono rocciatrici professioniste, ne componenti di una spedizione internazionale. Alice, 26 anni, ed Elisa, di 28, hanno fatto da sole e, zaino in spalla come i viaggiatori di un tempo, hanno vissuto un’esperienza unica, un viaggio tra dirupi e boschi incontaminati, fra yak e popolazioni del Nepal, dove le nevi sono eterne, l’aria rarefatta piega il fiato e l’altitudine appesantisce le gambe. Un viaggio nella catena dell’Himalaya, dove l’Everest è anche dentro se stessi, un viaggio con gli occhi pieni di meraviglia e il cuore aperto alle emozioni.
Il trekking Le due sorelle sono salite a piedi fino ai 5.643 del comprensorio dell’Everest, scegliendo l’itinerario più difficile, ma anche più suggestivo: “Abbiamo scelto - raccontano Alice ed Elisa De Stefani - la tratta più autentica e antica, che è anche la più impegnativa, partendo da Jiri, allungando così il trekking di 7 giorni, evitando di prendere l’aereo per Lukla, una decisione che ci ha aiutato ad alleggerire i sintomi dell’altitudine”. In tutto un viaggio di 20 giorni, le tappe principali sono state Namche Bazar, Dingboche, Gorak Shep, le cosiddette tappe di acclimatamento. Poi il campo base dell’Everest e Kala Patthar dove si trova il punto panoramico che da sulla montagna più alta del mondo a oltre 5.600 metri.
Ed è stato a quel punto che la fatica e il sudore speso nelle settimane precedenti è stato ripagato: “Arrivate al campo base - dicono Elisa e Alice - l’emozione è stata unica, ci siamo commosse. Vedere quelle innumerevoli tende gialle pronte ad ospitare le spedizioni di climbers è stata un’esperienza fantastica e irripetibile. Per non parlare del paesaggio che ci ha lasciato a bocca aperta. Di fronte all’immensità di quei ghiacciai e di quelle cime ci siamo sentite davvero piccole”.
In cima al mondo La magia dell’Himalaya è stata il punto culminante di un percorso fatto di sensazioni e scenari diversi, di fatica e determinazione. Le due sorelle spiegano che “le emozioni che abbiamo provato salendo oltre i 5.000 metri sono state profonde e contrastanti. Man mano che si avanzava la mancanza di ossigeno e di conseguenza la fatica fisica si facevano inevitabilmente sentire, ma la curiosità, lo stupore, la voglia di arrivare alla meta ci hanno dato la grinta per salire”. E ancora: “Il paesaggio Himalayano è sensazionale e a tratti molto diverso. Siamo passate attraverso boschi, foreste, minuscoli villaggi, sentieri a volte strettissimi con un burrone laterale da far mancare il respiro. Poi ti guardi attorno e ti ritrovi letteralmente circondato da cime mozzafiato, innevate, e non puoi che essere grato per tutto ciò che hai la possibilità di ammirare”. Il tutto da condividere “con muli e yak che trasportano merce”. Tratti quindi in cui il viavai di sherpa e turisti era quasi incessante, e tratti senza escursionisti, avvolti in una natura immensa.
In Nepal Un viaggio che è anche scoperta di un Paese, il Nepal, che presenta mille risvolti, “il contatto con la popolazione locale è stato assolutamente positivo. I nepalesi sono persone molto disponibili, umili e accoglienti e sempre pronte a regalarti un sorriso. Noi abbiamo fatto la nostra ascesa senza sherpa perché abbiamo voluto fare tutto da sole, portandoci i nostri 15 chili di zaino sulle spalle. In gruppo con due amici, uno dei quali conosciuto nelle Filippine in precedente viaggio. Abbiamo avuto la possibilità di conoscere un po’ la loro cultura visitando città e templi”. Un susseguirsi di emozioni e fatica, quindi. “La fatica fatta per raggiungere il kala Patthar, dove appunto si vede l’Everest, è stata immensa a causa dell’altitudine che ci obbligava a passi e respiri corti e rallentati per la carenza di ossigeno, ma è stata ripagata dal panorama e dal senso di pace che ci ha avvolte. Trovarsi davanti la cima più alta del mondo è stata un’emozione talmente grande da farci commuovere”.
Le difficoltà E non sono mancate le difficoltà. Alice ricorda che “al terzo giorno di trekking mi sono ammalata a causa degli sbalzi di temperatura; tosse forte, infezione alle vie respiratorie, febbre. Ho dovuto aspettare il giorno successivo per trovare una farmacia. Arrivata alla meta giornaliera ho chiesto ai locali se ci fosse stata la possibilità di arrivare a Lukla con qualche mezzo di trasporto, pensando di non poter camminare altre 7 ore. Ma l’unico modo per raggiungere Lukla era quello di camminare, così nonostante mi sentissi uno straccio mi sono messa in cammino per 7 ore. La mia forza di volontà è stata incredibile, non volevo mollare”. E ancora: “Abbiamo dormito nelle teahouses, sistemazioni dove anche i proprietari dormono e ti forniscono un letto e i pasti. Dormivamo nel nostro sacco a pelo perché le coperte a volte non c’erano o non erano abbastanza calde. Il riscaldamento, ovvero una stufa alimentata da sterco di yak, c’era solo nell’area comune. Nelle camere il riscaldamento non arrivava e a volte le finestre avevano le fessure, si può immaginare il freddo. Dormivamo con guanti e berretto”.
Elisa aggiunge che “a causa di un’infezione al piede ho camminato a fatica per due giorni (fortunatamente gli ultimi due) finché sono arrivata all’ospedale di Kathmandu dove sono stata stupita dalla bravura, disponibilità, velocità del servizio. Devo ancora guarire del tutto, non cammino ancora bene. ma mi sto curando con quello che mi hanno fornito i medici”.
Il piano Un viaggio estremo, un’esperienza di vita, certo non adatta a tutti, ma nemmeno così impossibile da realizzare. Alice ed Elisa hanno fatto tutto da sole, e senza specifiche capacità di arrampicata: “Abbiamo scelto il trekking del campo base dell’Everest per la bellezza dei paesaggi e per metterci alla prova. Non ci siamo preparate in maniera specifica ma siamo entrambe sportive ed attive. Il viaggio lo abbiamo organizzato da sole, documentandoci online e informandoci una volta arrivate a Kathmandu, dove abbiamo comprato e noleggiato l’attrezzatura necessaria”. Due ragazze intraprendenti, quindi, abituate a viaggiare. Alice ad esempio, vive e lavora all’estero da qualche anno, “la mia passione è viaggiare, mi regala esperienze, emozioni e conoscenze. Mi piacerebbe fare della mia passione un lavoro”.
Certo Alice ed Elisa la montagna la conoscevano, entrambe avevano avuto esperienze di scalata e ferrate e tanti giorni sui monti con la famiglia. Una passione trasferita a loro dai genitori, che da Rovigo hanno cercato di seguire le fasi dell’avventura: “E li ringraziamo per averci trasmesso ‘amore per la montagna e per la natura. Con la famiglia ci siamo tenute in contatto tramite wa. Ovviamente era difficile avere un wifi che funzionasse e siamo state anche diversi giorni senza poter comunicare con nessuno”.
Infine il consiglio per chiunque volesse provare un’esperienza simile: “Consigliamo a chiunque di fare un’esperienza di viaggio simile, non da turista ma da viaggiatore, perché ti fa aprire gli occhi su molti aspetti, e in più ti fa tornare ad apprezzare le piccole cose”. Elisa poi chiude dicendo che “la stessa passione per il viaggio accomuna me e mia sorella. Da molto tempo avevo questo desiderio di partire all’avventura, ho abbandonato qualsiasi paura, qualsiasi sicurezza, per cercare la vera me. Può essere una scelta difficile quella di mollare tutto e partire, lo è stato anche per me, ma ho avuto fiducia in me stessa e ho fatto bene. Il consiglio che do a chiunque abbia questa idea, è di seguire più il cuore e meno la testa.
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