VOCE
la rete che divide
20.04.2019 - 19:50
Una donna mostra al bimbo la parte vietata: “Si poteva giocare anche qua”
Una scena che suscita sicuramente sentimenti contrastanti: una donna porta mano nella mano un bimbo a passeggio nel parco. Ma nella parte sbagliata del parco. La prima reazione, per chiunque dotato di senso civico e rigore, è l’incredulità e forse anche un po’ di fastidio: perché una manna, nonna, zia o qualunque sia il grado di parentela con il bimbo dovrebbe mai trovare sensato, utile, costruttivo portarlo dalla parte del parco vietata? Non le è forse venuto in mente che dal quella parte per lungo tempo ci stavano ladri e spacciatori? Che da quella parte c’è un immobile gigante preda del degrado pronto a perdere pezzi in qualunque momento? Portare il bimbo al di là della rete, viene da pensare, è un gesto incosciente.
Ma fermandosi un attimo in più a guardare la scena il sentimento muta: perché ci dovrebbe essere una parte “sbagliata” di parco? Perché i bimbi non lo possono usare tutto? Perché una brutta, orribile rete di ferro e plastica rossa deve tagliare un bellissimo polmone verde nel centro (o quasi) della città?
E allora a questo secondo pensiero, il sentimento diventa la rabbia e anche un po’ di tenerezza. L’immagine diventa quasi malinconica e poetica: una mamma che accompagna il bimbo nella parte del parco dove una volta si poteva giocare magari raccontando una favola che purtroppo, a differenza di ogni favola che si rispetti, questa volta non ha il lieto fine. Al massimo un finale carico di speranze: “Vedrai, presto potrai giocare anche da questa parte”.
Ma è solo una speranza. Ormai sono quasi 7 anni che quel pezzo di parco, anzi i ben 2/3 di parco, sono stati sottratti alla città. Alle famiglie, ai bambini. Una volta, prima del 2012, infatti, si poteva giocare nell’intero parco. E nel periodo precedente alla chiusura, era pure stato sistemato a spese del Comune. Questo perché, forti di un accordo con i privati proprietari dell’area (che acquistarono dall’Ulss che smise di usare l’ex ospedale), Palazzo Nodari era sicuro che il parco sarebbe stato per sempre della città. Peccato però che, quello che i privati volevano in cambio, ovvero sistemare l’ex ospedale e trasformarlo in uffici e appartamenti, non fosse più possibile farlo (la Soprintendenza disse di no) e i privati si ripresero la loro parte. Realizzando la triste rete arancione. Che dovrebbe, in teoria, essere invalicabile ma, in pratica, da un lato è aperta.
Con l’amministrazione Piva cominciarono le pratiche per l’espropriazione del parco, la parte privata, pagando, in funzione della “pubblica utilità del parco”. Poi l’amministrazione cadde. Anche il commissario Ventrice continuò sulla stessa linea, ma poi, con l’arrivo dell’ultima amministrazione, spuntò il bando periferie per la riqualificazione dell’ex ospedale. E siamo ancora oggi in attesa che qualcuno ci dica se quel finanziamento arriverà o meno. Ma questa è un’altra storia. E il finale, purtroppo per la città, è ancora tutto da scrivere...
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