VOCE
Politica
07.06.2019 - 19:25
Alla fine emerge che i traditori non era poi così traditori. Dopo una sospensione-epurazione di poco più di tre mesi i sei ex consigliere comunali cacciati dalla Lega potrebbero essere riammessi nel partito. Si va verso il perdono per Fabio Benetti, Stefano Raule, Luca Gabban, Giancarlo Andriotto, Andrea Denti, Nicola Marsilio, gli ex consiglieri del Carroccio che firmando le dimissioni assieme ai consiglieri di minoranza avevano decretato, lo scorso 21 febbraio, la decadenza del sindaco Massimo Bergamin e la fine dell’amministrazione comunale. Cinque giorni dopo i vertici regionali della Lega, guidati da Toni Da Re avevano deciso l’espulsione dal partito dei militanti accusati di aver operato assieme all’opposizione per mettere fine ad un’amministrazione comunale guidata da un sindaco leghista. Ora pare che il provvedimento di espulsione possa essere revocato.
A confermarlo lo stesso Toni Da Re, neo europarlamentare del Carroccio: “Nei prossimi giorni, forse già la prossima settimana - dice - la commissione del partito si riunirà per esaminare alcuni casi relativi a militanti ed ex militanti. E’ possibile che alcuni provvedimenti possano essere rivisti. Oggetto di valutazione sono anche le espulsioni dal partito di diversi militanti, fra queste anche quelle di Rovigo”.
E aggiunge: “I sei ragazzi polesani in questa campagna elettorale si sono comportati in linea con la Lega, hanno lavorato a sostegno di Monica Gambardella, candidato sostenuto dal nostro partito. Hanno lavorato come dei veri militanti, e non hanno per niente tirato acqua al mulino dei partiti avversari. Valuteremo le loro posizioni, ma non è escluso che la loro posizione sia rivista e che la loro estromissione dal partito possa rientrare. Decideremo”.
E così quelli che sono stati definiti i “killer politici” di Bergamin potrebbero presto rientrare nei ranghi leghisti. E questo sembrerebbe dimostrare che dietro alla caduta di Bergamin e della sua amministrazione comunale ci potesse essere una sorta di “lasciar fare”.
Ecco allora che la punizione per “tradimento” è scattata come da regolamento, salvo poi svanire al termine di questa campagna elettorale. E se fosse così emergerebbe che le dimissioni dei sei leghisti, e la defenestrazione del sindaco Bergamin, alla fine di tutto non sono considerate, dal Carroccio, episodio grave e irrimediabile, ma una “colpa” minore, sanzionabile con una sospensione.
I sei leghisti subito dopo l’espulsione avevano accarezzato l’idea di formare una propria lista elettorale, magari in coabitazione con altri schieramenti civici, ma sempre nell’ambito del centrodestra, per correre nella campagna per l’elezione del sindaco di Rovigo. Poi questa ipotesi non si è concretizzata e nelle settimane che hanno accompagnato la città al primo turno e alle elezioni europee del 26 maggio i sei ex consiglieri espulsi hanno lavorato, chi più chi meno, a favore del centrodestra e del Carroccio, soprattutto in chiave elezioni europee.
Ora la loro punizione, a distanza di tre mesi, potrebbe trasformarsi in una riammissione.
Le dimissioni dal consiglio comunale dei sei ora ex leghisti (ma possibili futuri leghisti) erano avvenute al termine di una crisi che nella maggioranza del centrodestra rodigino era durata una trentina di giorni. Ad entrare in conflitto con il sindaco Bergamin non erano stati solo loro sei, ma tutto il centrodestra, tanto che una lettera-ultimatum era arrivata a firma dei vertici regionali di Lega e Forza Italia. Il sindaco poi aveva azzerato la giunta comunale lasciando la città senza esecutivo per circa tre settimane, fino alle dimissioni di massa del 21 febbraio. Da quel giorno i sei leghisti si sono sempre giustificati spiegando che la loro scelta era stata fatta per amore di Rovigo e che il via libera iniziale della ribellione contro Bergamin era arrivato dalla base del partito, consultata qualche giorno prima (anche se poi le dimissioni dal consiglio non furono mai autorizzate).
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