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ORRORE ALL’IRAS

L'anziana gridava: “Ma cosa vi ho fatto?”

Le vittime imploravano. Le aguzzine sapevano delle telecamere, ma non avrebbero smesso

L'anziana gridava: “Ma cosa vi ho fatto?”

Le vittime imploravano. Le aguzzine sapevano delle telecamere, ma non avrebbero smesso

Sapevano delle telecamere presenti al reparto “arancio” dell’Iras di San Bortolo, che ospita non autosufficienti. Per due motivi: in primo luogo perché una era stata notata; in secondo luogo perché c’era stata una “fuga di notizie” - non dalla questura - a seguito della quale una delle indagate aveva saputo che la “evacuazione per fuga di gas” del 7 giugno scorso, all’Iras, in realtà era stato un pretesto per sistemare le telecamere.

Secondo la ricostruzione degli investigatori, infatti, già il 16 giugno, una delle oss indagate per i maltrattamenti alle anziane, avrebbe avvisato le colleghe della circostanza.

Nonostante questo, sono proseguiti gli episodi captati dai dispositivi installati dalla squadra mobile, che ha condotto l’inchiesta, guidata dal commissario capo Gianluca Gentiluomo. Come è possibile? Due sono le possibili spiegazioni, a quanto emerge dagli atti dell’indagine.

Una è che, a seguito di questa notizia, i comportamenti illeciti verso le anziane siano stati “contenuti”, come adombra il giudice per le indagini preliminari nell’ordinanza che dispone l’interdizione dal lavoro in strutture assistenziali a carico di sette oss dell’Iras e due inservienti. In parole povere, è possibile che, sino a quel momento, fosse accaduto di peggio.

La seconda spiegazione, che non esclude la prima, è che ormai queste condotte fossero divenute così abitudinarie da rendere difficile anche astenervisi. La abitudinarietà del male.

Il giudice, del resto, lo dice chiaramente, quando parla di “modalità indicative tanto di un’abitudinarietà del comportamento, quanto della consapevolezza di un generalizzato clima di tolleranza e diffusione di questi atteggiamenti”. Affermazioni sulle quali i vertici Iras - assolutamente non indagati nella vicenda, doveroso ribadirlo - avranno di che riflettere, per capire cosa sia accaduto nella struttura cittadina, mai toccata da un simile scandalo.

Lo stesso magistrato, poi, chiarisce come non sia sostenibile, a suo avviso, la tesi di una “difesa” da parte delle operatrici, a fronte di comportamenti aggressivi. Le vittime, secondo l’accusa, sono anziane, esili, non autosufficienti, vittime di “atti molesti e di dileggio, senza alcuna ragione”.

E’ anche per questo che stringe il cuore leggere le proteste, le invocazioni, la disperazione delle anziane captate dai microfoni. “Ahi - urla una - chi mi ha dato un pugno?”. “Superman”, risponde una oss. “Ahi, chi mi picchia, chi mi picchia”, urla una donna, presa a schiaffi sulle mani mentre dorme. E’ un inserviente, che poco dopo - secondo le contestazioni - esce, torna con lo spazzolone, pulisce in terra, poi lo appoggia in faccia alla donna. “Ma cosa ti ho fatto”, grida una; “Ma ce l’avete con me?”, domanda un’altra. “Sì”, la risposta. “Ma dillo, dillo il motivo”. Ma la Oss non lo dice. Prende il telo di un’altra degente e lo scaglia in faccia alla anziana non autosufficiente. “Perché fai così”, urla una delle vittime, mentre viene presa a sberle in testa.

Tre in particolare le non autosufficienti prese di mira ripetutamente, secondo le tesi dell’accusa. Tutte compagne di stanza. “La stanza delle scentrate”, la chiamavano le Oss. Davvero, la abitudinarietà del male.

Martedì e mercoledì, gli interrogatori dei nove indagati.

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