VOCE
EX MANICOMIO GRANZETTE
21.09.2019 - 17:48
C'è il fango, l'acqua che scorre, ci sono rami, suppellettili devastati, figuranti accasciati in mezzo alla melma che chiedono soccorso. Impressionante, certo. E suggestivo. Ma sarebbero forse bastate, a dare l'idea della devastazione, del dolore, ma anche del coraggio e della fierezza di un popolo, le foto, strazianti e meravigliose, vere, reali, con le quali i reporter dell'epoca documentarono la tragedia del Vajont. 1910 morti, paesi spazzati via, cancellati, dall'ondata mortale che, nella serata del 9 ottobre del 1963, si levò dall'invaso artificiale costruito con la diga che sbarrava il torrente Vajont. Un pezzo del monte Toc, sulle prealpi del Bellunese, proprio al confine tra le Regioni del Veneto e del Friuli Venezia Giulia, che sovrastava il lago artificiale, franò e cadde all'interno di questo, facendolo tracimare.
Una dinamica ben riassunta, all'epoca, dal reportage dello scrittore e giornalista Dino Buzzati: "Un sasso è caduto in un bicchiere colmo d’acqua e l’acqua è caduta sulla tovaglia. Solo che il bicchiere era alto centinaia di metri, il sasso era grande come una montagna e sotto, sulla tovaglia, stavano migliaia di creature umane che non potevano difendersi". Suggestivo.
Ma non straziante come una delle testimonianze raccolte nella mostra allestita dall'associazione I Luoghi dell'Abbandono all'ex manicomio di Granzette. La testimonianza di un soccorritore che racconta le lacrime di un giovane alpino, inviato come tanti altri soldati di leva a scavare in quell'inferno, per cercare i corpi. "Signor tenente - singhiozzò l'alpino - a scavare io non resisto più". Una esperienza impegnativa, da affrontare, la mostra multisensoriale allestita da Devis Vezzaro, presidente de "I luoghi dell'abbandono". Ma da affrontare. Per orari e informazioni, consultare la pagina Facebook dell'associazione I Luoghi dell'Abbandono.
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