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Coop negli ospedali: nuovi dubbi e segnalazioni

Un nuovo capitolo del tormentato sbarco del mondo delle cooperative nella sanità pubblica

Coop negli ospedali: nuovi dubbi e segnalazioni

Un nuovo capitolo del tormentato sbarco del mondo delle cooperative nella sanità pubblica. Un evento ormai consolidato, tanto in Polesine - dove le esternalizzazioni alle coop riguardano i servizi Suem e Pronto Soccorso di Adria e Trecenta - quanto in Veneto, ma non per questo scevro da polemiche. Basti pensare che, di recente, ad Adria, ben otto professionisti dell'Ulss hanno inviato una preoccupata segnalazione mettendo seriamente in dubbio non solo l'efficienza del sistema adottato al pronto soccorso, ma, in alcuni casi, anche la capacità dei colleghi "somministrati" dalle coop di inserirsi nel sistema del lavoro quotidiano.

A livello regionale Anaao - associazione dei medici ospedalieri - ha presentato addirittura un esposto tanto alla Corte dei conti che ai carabinieri del Nas, evidenziando due ordini di problemi: in primo luogo quello relativo ai turni di lavoro. Come controllare, infatti, che il professionista che viene messo a disposizione della struttura pubblica abbia riposato a sufficienza dopo un turno notturno, o non arrivi da un altro turno pregresso? Problematiche, queste, alle quali neppure il Polesine risulterebbe estraneo.

Altro problema sarebbe quello rappresentato invece dalla competenza. Ossia: come essere certi che il medico che viene somministrato dalla cooperativa sia in effetti qualificato per attività di pronto soccorso, o per uscire in automedica, per emergenze anche gravi? Anche nella nostra provincia, come detto, non sono mancate perplessità del genere. Dopo la segnalazione ad Adria, per esempio, il direttore generale Antonio Compostella ha chiesto un dossier completo, sottolineando come, anche prima di questo sviluppo, l'Ulss avesse rilevato alcune problematiche. Ma ribadendo come, a suo avviso, il personale in servizio abbia tutte le carte in regola per assolvere alle proprie funzioni e parlando, più che altro, di una fase di "rodaggio" e adattamento alle procedure. La qualità del servizio, insomma, secondo Ulss non sarebbe in discussione.

Ora, una nuova segnalazione e una nuova domanda. Ossia: queste cooperative possono mettere a disposizione della sanità pubblica anche medici specializzandi? A sgombrare il campo da equivoci e a fornire la propria lettura dei fatti, arriva il segretario regionale di Anaao Adriano Benazzato: "Assolutamente no - spiega - In ragione del contratto di formazione specialistica". Si tratta del contratto che lo specializzando stipula al momento dell'accesso alla scuola di specialità, per il quale riceve anche uno stipendio, discreto, per la propria opera prestata nel corso della formazione.

"Ogni università ha un proprio regolamento in materia - spiega Benazzato - ma il contratto standard prevede una clausola per la quale lo specializzando non dovrebbe prestare la propria opera in strutture diverse da quella ove sta frequentando la scuola di specialità".

Solitamente lo schema del contratto presenta la seguente formulazione, all'articolo 5: "Il medico in formazione specialistica si impegna a non svolgere alcuna attività libero professionale all'esterno delle strutture assistenziali in cui effettua la formazione, né ad accedere a rapporti convenzionali o precari con il servizio sanitario nazionale o con enti e istituzioni pubbliche o private".

Unica deroga prevista il fatto che può "fermo restando il principio del tempo pieno, sostituire a tempo determinato i medici di medicina generale convenzionati con il servizio sanitario nazionale ed essere iscritto negli elenchi della guardia medica notturna, festiva e turistica, ma occupato solo in caso di carente disponibilità di medici già iscritti nei predetti elenchi". A questa si aggiunge la "facoltà dell'esercizio della libera professione intramuraria, in coerenza con i titoli posseduti". Una formulazione, insomma, che parrebbe non consentire un impiego nelle coop coinvolte nelle esternalizzazioni.

A chi spetta verificare che questa clausola venga rispettata? Le Ulss spiegano come non competa a loro, dal momento che l'azienda sanitaria si occupa di verificare che il personale abbia tutti i requisiti "fissati" nel bando per l'affidamento del servizio. Sia, cioè, idoneo, almeno a livello di qualifiche, al servizio che viene svolto. Per il resto, a quanto emerso, ci si basa su una sorta di "autocertificazione" rilasciata dal professionista, che dichiara di non trovarsi in situazione di incompatibilità. La verifica di questo, non è compito o responsabilità dell'azienda sanitaria.

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