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Iran, venti di guerra

“Mio cugino morto nella calca”

Neyad Zighami, imprenditore iraniano vive da anni in Polesine: “La vita lì è un inferno tutti i giorni. Il conflitto sarebbe devastante”.

“Mio cugino morto nella calca”

Nella calca per i funerali del generale Qassem Soleimani, il generale ucciso nel blitz ordinato da Trump, Massimo Neyad Zighami, imprenditore bassopolesano di origini iraniane, ha perso un giovane cugino di secondo grado. Il dolore è grande in Zighami per la perdita del parente, la preoccupazione e la sensazione di impotenza. Ma il 44enne che da 18 anni vive, lavora e dà lavoro in Polesine per reazione si chiude: “Preferisco quasi non parlarne, non esprimere il mio pensiero, perché non aggiungo e non tolgo niente a quello che è successo. Ci sono errori da entrambe le parti, lo scotto maggiore lo stanno pagando le persone per bene, la gente che vive lì, in Iran e in Iraq. Stanno pagando il prezzo di governi incapaci, con persone incoscienti a capo di questi governi, che rischiano la vita altrui”.

Figlio di un ex console e distante dall’Iran sia fisicamente che temporalmente, non ha mai perso il contatto con le sue radici, tanto da costituire un’associazione per mettere in contatto Iran e Polesine. “Tutto è fermo dal 2018, da quando Trump ha posto veti”.

Il cugino dell’imprenditore era al funerale del generale, tra i 56 morti nella calca. Aveva 35 anni appena. “E’ stato schiacciato dalla folla. Era a Kerman. Purtroppo la vita in Iran è già un inferno, con l’inflazione al 40% e i giovani che non hanno occupazione, la gente che non ha niente da mangiare, che non riesce a fare benzina. Vogliono tutti andare via. Per loro è un inferno vivere tutti i giorni, per questo non hanno paura della guerra”.

Anche per questo motivo il governo attuale in Iran non convince Zighami, che da osservatore esterno, ma molto addentro alle cose, non può che segnalare come “non si può sostenere il governo iraniano che ha represso in maniera massiccia le manifestazioni per l’aumento ingiustificato del costo del carburante, uccidendo oltre 500 giovani che erano scesi in piazza per esprimere il loro dissenso”.

Per l’imprenditore iraniano trapiantato in Polesine non c’è un rischio Siria, perché non c’è frammentazione interna come è successo all’interno del Paese paese. In Iran c’è un esercito coeso che andrà a combattere. Ma il rischio forte è mondiale”. “E’ una guerra che porterebbe alla devastazione - continua - e che coinvolgerebbe tutti”

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