VOCE
l’anniversario
20.02.2020 - 08:41
Firmarono 22 consiglieri (sei leghisti), le cause e l’avvicinamento alla sera della defenestrazione
365 giorni. Domani scocca l’anno esatto dalla caduta dell’amministrazione Bergamin. Il 21 febbraio del 2019 22 consiglieri comunali firmarono le dimissioni decretando la caduta dell’amministrazione e del sindaco Massimo Bergamin. Una sfiducia che portava anche il marchio dello stesso partito del sindaco, la Lega, dato che ben sei consiglieri del Carroccio misero il nero su bianco per l’azzeramento dell’amministrazione comunale e il conseguente periodo di commissariamento. Con loro gli esponenti dell’opposizione e i consiglieri di maggioranza Vani Partese (Fi), Silvano Mella (Presenza cristiana) e altri consiglieri che nel corso dei 4 anni di mandato voltarono le spalle alla maggioranza.
L’epilogo Ma quel 21 febbraio fu solo l’epilogo di una crisi che si trascinava da mesi. Tanto che tre settimane prima Massimo Bergamin, nel disperato tentativo di rianimare una squadra di governo in debito di ossigeno, arrivò ad azzerare l’intera giunta. Togliendo le deleghe a tutti gli assessori e assumendo su di sé gli interim. Per 20 giorni, quindi governò da solo, attirando anche l’attenzione dei media nazionali, che arrivarono a parlare di sindaco-re. Nel corso dei 4 anni di era Bergamin la giunta, d’altra parte, aveva subito continui rimpasti e stravolgimenti. Negli ultimi mesi, poi, era sempre più evidente lo sfilacciamento della maggioranza di centrodestra che a più riprese ammonì il primo cittadino per chiedere cambi di rotta e maggiore condivisione. tanto che le richieste di un cambio di passo, e di nuovi posti in giunta, arrivarono anche dai vertici di Lega e Forza Italia, azionisti di riferimento dell’amministrazione a trazione leghista. Poi Fi e Lega non si spinsero fino in fondo, almeno formalmente, ma molti dei loro consiglieri sì. E così dopo una serie di tira e molla, conciliaboli notturni, lettere e passi indietro, la sera del 21 febbraio 22 consiglieri si presentarono nell’ufficio del segretario generale del Comune per firmare le dimissioni e defenestrare l’amministrazione Bergamin.
La firma Si presentarono: Moretto, Romeo, Andriotto, Borgato, Denti, Gabban, Patrese, Mella, Borella, Zanotto, Menon, Bonvento, Milan, Businaro, Vernelli, Raule, Gennaro, Sergi, Paron, Goldoni, Marsilio, Benetti. In seguito i sei leghisti (Benetti, Raule, Gabban, Andriotto, Denti, Marsilio) saranno espulsi dal partito anche se loro non rinnegheranno mai il loro gesto, dichiarando anzi di aver avuto la copertura politica della maggioranza degli iscritti rodigini del Carroccio.
Le cause Ecco allora che gran parte delle cause della caduta dell’amministrazione vanno ricercate nei rapporti deteriorati fra il sindaco e i consiglieri comunali del suo partito. Inoltre in una maggioranza sempre più scollata dove gruppi consiliari e partiti chiedevano maggiore visibilità, incarichi e peso nelle scelte da adottare. Fra i vari colpi di grazia assestati alla giunta anche alcune scelte mal digerite dalla cittadinanza, come i vari, e a volte astrusi, cambi di viabilità; le pessime condizioni della rete stradale e dei marciapiedi, capaci di sollevare polemiche quotidiane; l’immobilismo di alcuni settori della macchina amministrativa, a cominciare dall’urbanistica. Inoltre il trascinarsi di alcune situazioni che misero il sindaco in contrapposizione con altri Comuni polesani, dalle operazioni sui rifiuti a quella su acqua e su altre società partecipate. Per non dire dei dossier trascinatisi per anni, e a dire il vero, ancora lontani dalla soluzione, come il lodo Baldetti e l’intricata matassa polo natatorio, il bando periferie e la riqualificazione dell’ex Maddalena, la crisi dell’Iras e chi più ne ha più ne metta.
Il dopo Quel 21 febbraio, inoltre, può essere ricordato anche come l’ultimo giorno nella stanza dei bottoni di vecchie volpi della politica rodigina, nell’attuale consiglio comunale, infatti, solo in dieci erano seduti in quello presieduto da Paolo Avezzù fino al febbraio 2019.
Da quel giorno, inoltre, Bergamin è letteralmente sparito dalla città. Non si è più fatto vedere, estraniandosi anche dalla vita di partito e non presentandosi nemmeno alle urne per la scelta del suo successore. Continua a mantenere la carica di vicepresidente del cda di Acquevenete ma per la vita politica della città è diventato una sorta di fantasma. Il centrodestra, invece, nel giugno scorso ha perso le elezioni, Gambardella sconfitta da Gaffeo, tornando all’opposizione in città dopo 8 anni.
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