VOCE
Idee per il dopo
27.06.2020 - 21:19
Chi non avrebbe voluto assaggiare quel risotto che Joe Bastianich definì “uno dei tre più buoni mangiati nella mia vita”. O la cernia in saor che ha letteralmente strabiliato anche gli altri due giudici di Masterchef, Carlo Cracco e Bruno Barbieri. Stiamo parlando di Stefano Callegaro, il vincitore della quarta edizione di Masterchef Italia, che ha fatto il tanto sperato salto da cuoco amatoriale a chef. E’ proprio al 48enne adriese, che in questi anni ha avuto molte esperienze in cucina e altrettante in tv, che vogliamo chiedere come sarà la ristorazione dopo l’emergenza sanitaria Covid.
Come te lo immagini il ristorante del dopo Covid?
“Questa emergenza ha acuito al massimo la necessità di rigore, pulizia e igiene all’interno della cucina. Cosa che in passato veniva presa come una imposizione, dove c’era un margine di tolleranza che, tutto sommato, poteva anche starci. Oggi la tolleranza è zero, non tanto degli enti che controllano, ma da parte dei ristoratori stessi. Comportamenti che non lasciano più spazio ad alcuna leggerezza. Lo vedo nelle cucine che gestisco, l’operatore si sanifica molte più volte al giorno, usa sempre guanti e mascherina, sempre con la divisa completa, cappello compreso”.
Una cosa che comporta costi superiori immagino...
“Effettivamente per quanto riguarda la gestione del ristorante, la faccenda è più complicata perché i locali non sono nati con la logica del post Covid. Gli spazi scelti in passato non potevano tener conto della necessità di distanze che abbiamo oggi. Ciò comporta che c’è mediamente un 35-40% di riduzione di posti a sedere, che non rappresentano l’intero guadagno, ma quasi. Per questo sarà necessario innescare tutta una serie di processi a vantaggio del minor spreco”.
Ma quindi, secondo te, le cucine sprecano ancora molto cibo?
“Quello che voglio dire è che nessun ristoratore può permettersi più di avere una pattumiera piena. Di regola tutto quello che va nella pattumiera, è prodotto che ho comprato e che per poca attenzione poi finisce lì. E questo lo sto verificando di persona. Faccio un esempio con il pesce. Normalmente i ristoratori meno attenti puliscono il pesce, quelli più bravini con lische e teste ci facevano, e dopo averlo estratto, finivano nel pattume. Ma quei resti si possono tritare, mettere al forno e ridurli in una polvere che insaporisca i piatti. La lisca centrale si può friggere e farla diventare parte della portata, come la pelle del pesce, che diventa una chips. Insomma oggi con una orata ci faccio tre piatti, li vendo ognuno allo stesso prezzo che avrei chiesto per l’orata, e quindi la gestione complessiva mi costa meno. Questa è la logica con la quale i ristoratori e gli operatori di cucina devono applicare per ovviare al mancato guadagno. In realtà siamo stati obbligati a fare considerazioni che avremmo già dovuto far prima”.
L'intervista completa nella edizione di domenica 28 giugno della Voce di Rovigo
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