VOCE
SANITA'
02.09.2020 - 18:21
Dimenticata in Pronto Soccorso per 9 ore, con un intervento in day hospital da eseguire. Con il colmo alla fine di un’estenuante giornata: il reparto di neurochirurgia che chiama la paziente da operare per capire che fine abbia fatto. L’ennesima odissea al Pronto Soccorso in epoca Covid è stata affrontata da una giovane donna di Rovigo che soffre di un’ernia discale.
La signora insieme al marito è improvvisamente rimasta bloccata a causa della compressione del nervo sciatico e qualche giorno fa è ricorsa alle cure ospedaliere al Santa Maria della Misericordia. Per lei era già stato programmato un day hospital, un intervento da eseguire in giornata con dimissioni immediate.
Ma la donna è dovuta improvvisamente ricorrere a un’ambulanza della croce bianca, pagata privatamente, visto il repentino e smisurato dolore che le ha impedito di giungere all’ospedale su una normale automobile. Nel reparto di Neurochirurgia, una volta terminati gli esami pre-operatori è stata visitata vista dal medico di guardia il quale vista la situazione ha deciso di trattenerla e le ha fatto assegnare un letto per il ricovero immediato.
“Ci ha mandato però al pronto soccorso per il tampone Covid - racconta il marito - erano le ore 9.15. Le assegnano un codice bianco”. Ma qualche meccanismo si è inceppato proprio nel reparto delle Urgenze ed Emergenze del capoluogo polesano. La donna distesa su una barella e dolorante è stata sottoposta al tampone alle 13,53, oltre quattro ore dopo, senza assistenza.
“Ricevo verso le 16 una richiesta di aiuto da parte di mia moglie che sistemata in uno stanzino non ha la possibilità di chiamare il personale del Pronto soccorso”. A quel punto l’uomo si precipita in ospedale e non usa mezzi termini: “Ho avvisato che se la paziente non avesse ricevuto un minimo di dignitosa attenzione, sarei entrato con i carabinieri, in quanto la situazione mi sembrava più un sequestro di persona che altro”.
Si fanno le 17. “Parlo al telefono con mia moglie la quale mi dice di essere sfinita e che ha necessità di mangiare qualcosa considerato che non mangia dalle 20 della sera precedente, 21 ore. “Chiamo infastidito il personale medico. Mi rispondono di non preoccuparmi e che avrebbero provveduto - racconta ancora il rodigino. Sono le 17.30 ancora niente. Neppure il tè che era stato promesso”.
Infine il paradosso: alle 17.40 la signora viene contattata dal reparto di Neurochirurgia per sapere per quale motivo non è ancora arrivata in reparto. Nove ore senza una risposta. “Mi chiedo se in una società civile ed evoluta come dovrebbe essere la nostra, sia possibile ancora tutto ciò - conclude l’utente - Perché di fronte alla sofferenza ci sia ancora tanta superficialità”.
Commenti all'articolo
Libero pensatore
16 Settembre 2020 - 08:03
Ed è così per tutti noi. I reparti vanno protetti da nuovi clusters intraospedalieri (vedete cosa è successo a Porto Viro) Basta poco per trovarsi con un reparto bloccato. All'ingresso nei reparti i Pazienti devono essere covid negativi e poiché Fano un singolo test ci vuole un test sicuro, valido che per quanto rapido non può essere pronto in pochi minuti in quanto utilizza una tecnologia ultra avanzata complessa. I percorsi covid rallentano e ingolfano il sistema dell'emergenza ma sono necessari per garantire la sicurezza e di tutto l'ospedale. La pietà è un sentimento nobile circolare. Massima solidarietà per la signora e per il suo problema di salute. Ma massimo sostegno per tutto il personale del PS di Rovigo. In questo articolo sembra un luogo di incuria e degrado dove si è vittime di "odissee". Invece c'è gente che lavora per noi e visita ed assiste tutti, da chi si presenta in PS perché ha la forfora a chi sta morendo
Libero pensatore
16 Settembre 2020 - 07:47
Se in PS arrivano una rottura di aneurisma aortico, un infarto cardiaco e uno shock settico è chiaro che il personale di PS darà priorità a questo tre casi per la refertazione rapida del tampone perché si tratta di Pazienti critici che stanno morendo. Un'appendicite con peritonite, una diverticolite perforata, una torsione di una gonade, un'embolia polmonare critica, una sindrome coronarica, un ictus emorragico, un'ischemia acuta d'arto fanno tutti il tampone in PS. Spesso quando i Pazienti sono molto critici e arischio di morte imminente o di danno d'organo entrano in sala prima dell'arrivo del referto e vengono gestiti in sala come Covid positivi in attesa del tampone al quale viene data priorità alta. Il dolore non è un criterio d'urgenza. Se i neurochirurghi sospettavano una sindrome di compressione della causa (urgenza neurochirurgica) e non solo un'ernia non avrebbero mollato la loro assistita nel PS generale in attesa del tampone. Il PS è pieno di persone in attesa di tampone
Libero pensatore
16 Settembre 2020 - 07:23
Purtroppo il laboratorio di microbiologia al servizio 24 ore per il PS riesce ad erogare 3 test rapido a ciclo (ciclo di circa 1 ora). Al PS accedono circa 100 accessi al giorno. È necessario un sistema di triage. Arrivano infarti, politraumi, ictus ischemico ed emorragici, fratture di femori, perforazioni intestinali etc. Gli emodinamisti non aspettano il tampone per salvare un cuore. ..i neurochirurghi non aspettano il tampone per salvare un cervello in caso di emorragia cerebrale, i chirurghi vascolari non aspettano il tampone per salvare un arto, i chirurghi generali non aspettano un tampone per salvare un'occluso o un perforato o per drenare un pneumotorace massivo....se i neurochirurghi hanno mandato la Signora giù in PS per accelerare l'intervento ed aspettare il tampone probabilmente dovevano spiegare ai familiari che in PS il personale gestisce prima i codici maggiori con i pochi mezzi che ha per salvare le vite dei nostri cari.
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