VOCE
SOLDI PUBBLICI
02.10.2020 - 17:55
E se vi dicessimo che è il Nord - e non il Sud, come vorrebbe la vulgata corrente - ad essere penalizzato, per quanto riguarda i trasferimenti dello Stato per sostenere i servizi ai cittadini? No: non lo dice qualche partito secessionista, ma proprio l’Osservatorio sui conti pubblici italiani che si è preso lo scrupolo di smontare, dato dopo dato, numero dopo numero, un’affermazione dello Svimez, l’Associazione per lo sviluppo industriale del Mezzogiorno che recentemente ha dichiarato che il Nord avrebbe “sottratto al Sud 60 miliardi all’anno”.
Un dato che non è certo campato in aria, ma che non tiene conto di alcune osservazioni analizzate da Cpi. Che spostano completamente il risultato finale: per l’osservatorio, infatti, dal 2002 al 2016 i trasferimenti pubblici al Sud hanno superato, di una quota tra il 15% e il 20%, il Pil complessivo dell’area, traducendosi in un “extra contributo” stimabile tra i 57 e i 76 miliardi di euro. Numeri che si traducono in circa 1.400 euro l’anno a cittadino (in servizi, chiaramente) in più rispetto a quanto destinato a chi abita al Nord. Anche per questo (e - sottolinea l’Osservatorio Cpi - già dagli anni ’50 del secolo scorso) la spesa per consumi, considerando sia quelli degli enti pubblici che quelli dei privati, al Sud è maggiore rispetto al Pil. Insomma, si spende più di quanto si produce e - di conseguenza - più di quanto si guadagna. Un rapporto, quello tra consumi e Pil, che si attesta a 1,025: insomma, mediamente si spendono 102 euro e 50 centesimi per ogni 100 euro guadagnati, mentre nel resto d’Italia la spesa per ogni 100 euro prodotti si attesta a quota 74,60 euro. Una differenza non da poco.
Ma comprensibile, perché - a notarlo è sempre lo studio dell’osservatorio Cpi - sono (nell’ordine) le tasse pagate dai cittadini di Lombardia, Emilia Romagna, Lazio, Veneto, e poi Piemonte e Toscana a sostenere questa emorragia di fondi diretti al Sud. E torniamo a quei 60 miliardi di euro che il Nord sottrarrebbe ogni anno al Sud. Un conto che - sottolinea Cpi - non tiene conto di alcune questioni fondamentali: intanto perché nel totale sono finiti anche i servizi offerti dalle aziende pubbliche (con Enel, Eni, Poste, Ferrovie e tante altre) che in realtà ragionano con logiche private e non dovrebbero essere considerati nel cumulo della spesa pubblica; e poi perché sono state sommate alle prestazioni erogate ai cittadini anche le pensioni, che in realtà sono frutto dei contributi versati dai lavoratori stessi e per questo sono mediamente più alte al Nord.
Non è finita: secondo Cpi il calcolo va poi parametrato anche al costo della vita, che è diverso al Nord rispetto al Sud. Ne risulta che a ricevere la quota maggiore dei trasferimenti, in proporzione agli abitanti, non sono tanto le regioni del Sud quanto quelle a statuto speciale e quelle più piccole. Depurando i dati anche di questa “stortura”, sono invece proprio i cittadini del Mezzogiorno a ricevere la quota maggiore di trasferimenti, con un gap di 1.400 euro l’anno rispetto ai residenti al Nord. Un trattamento - insomma - più generoso rispetto al resto d’Italia, se si considera che la somma di quanto la pubblica amministrazione spende per i cittadini del Mezzogiorno si attesta a quota 28,6 miliardi di euro l’anno in più rispetto a quanto fa per chi abita a Nord.
Di conseguenza, il peso della spesa della pubblica amministrazione rispetto al Pil regionale è estremamente alto, nel Mezzogiorno. Se lo Stato in Lombardia spende il 33% della ricchezza totale prodotta nella Regione, e nel Veneto si arriva al 38%, all’altro estremo c’è la Calabria dove la spesa dello Stato rappresenta l’80% del Pil. Un dato davvero enorme.
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