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LA STORIA

Body shaming, "vittima per il peso"

Il vessatore: "Rovinano il sistema sanitario". Parte la denuncia alla polizia postale

Body shaming, "vittima per il peso"

Andare con un’amica a mangiare una piadina all’aperto. E’ la “grave colpa” di cui sarebbe “macchiata” una donna di 44 anni, insegnante del Medio Polesine, a dire di un polesano, padre di famiglia. L’uomo, infatti, si è divertito a spiattellare la foto della signora, che nemmeno conosce, su Facebook, mentre paga, e poi ha commentato con frasi inaudite. L’altra “grave colpa” della signora sarebbe di essere sovrappeso. Un tema, quello del body shaming, che Vanessa Incontrada ha reso meravigliosamente “fashion” sulla copertina di Vanity Fair, ma che per Michela (il nome è di fnatasia) che combatte contro la sua obesità da tempo, brucia sulla carne viva.

Nel giro di poche ore, l’insegnante è diventata vittima di body shaming e il suo vessatore è stato bloccato, ma solo per pochi giorni, dal social network, perché segnalato dagli utenti per i suoi contenuti inammissibili. Per la donna è stata una doccia fredda e un colpo al cuore scoprire, grazie a una vicina di casa, di essere protagonista di un post diffamatorio, potenzialmente visualizzato da 4.873 persone. Tanti sono gli amici del suo vessatore sul social. Che ha scritto: “Ordinano due piade composte di salsiccia e prosciutto cadauna con melanzane e altri intrugli e bevono due coca zero zuccheri, convinte che siano gli zuccheri a fare male, dato che sono un quintale a testa!!!”. Ma i commenti sono anche peggio: fanno riferimento al costo sanitario, alla loro presunta “sporcizia”.

“Non conoscevo questa persona - racconta con grande coraggio la 44enne ancora sotto shock per quello che le sta capitando dal 19 settembre a questa parte - Anche se ho visto che ha ripreso altre persone disabili o altro per pubblicare i suoi pensieri assurdi sui social. Mi ha infangata, ha 4.873 amici, una 30ina dei quali mi conoscono, qualcuno abita nella mia stessa via”.

E continua: “Ha detto cose inaudite, e cose non vere, che ‘queste persone puzzano dalla mattina alla sera, rovinano il sistema sanitario nazionale’. Ha dato le sue misure di altezza e peso per dire che lui è in regola, mentre io non ho fatto nulla di male. L’unica colpa che ho è di aver consumato una piadina in totale relax con una signora, un’amica anziana”.

Michela, che per la sua professione di educatrice ha certamente osservato e studiato il bullismo e le forme di cyberbullismo, si ritrova ora a doverne pagare anche le conseguenze. Perché a nessuno piace doversi difendere da una foto rubata e dalla diffamazione su Facebook. Ma a nessuno piace nemmeno dover subire la trafila della denuncia alla polizia postale, delle conseguenze giudiziarie e dei tempi della giustizia. “Non lo conosco - ripete la donna - mi ha fatto una cattiveria gratuita. Ora dovrò integrare la denuncia e fare tutta la trafila. Non so se si può capire: pensare di non avere nemmeno la libertà di andare in giro tranquillamente, per via del proprio peso”. Già, inaudito.

“Intanto mi hanno già detto che per questo messaggio su Facebook, che a me ha recato molto danno - spiega ancora l’insegnante - non è che la persona che lo ha scritto avrà chissà quale pena. Non lo metteranno in galera. E non mi interessa ricevere le sue scuse in tribunale. A me interessa che non faccia più certe cose. Io sono un’insegnante e da insegnante vedere che ancora oggi c’è gente, ‘vicini di casa’ che fanno cose del genere fa male”.

Pensa ai ragazzini che non sanno come difendersi dalla stupidità umana, alle tantissime ragazze vittime dei compagni di bullismo e cyberbullismo. “Sono brutte mode che bisogna cancellare. Spero che questa persona leggerà l’articolo e capirà che queste cose non si fanno”.

Non abdica al suo ruolo di educatrice, anche se in questo caso protagonista e vittima di body shaming, e ripete: “Vorrei tanto che queste vicende finissero. Prima che mi capitasse questa cosa cadevo davvero dalle nuvole. Non so nemmeno che reato sia fotografare una persona e postare la sua foto su Facebook per diffamarla”.

Il reato è la diffamazione, con l’aggravante del mezzo della pubblicità, come molta giurisprudenza ha stabilito. “Io a 44 anni, sono andata molto giù di tono, eppure ho reagito e reagirò. Ma un ragazzino no. La cosa terribile è che questa notizia a me è giunta tramite il tam tam delle persone. Colpire le persone per le loro debolezze è un fenomeno che non può diffondersi”. C’è una consolazione che Michela prova in tutta questa assurda storia: “Ho visto che ci sono state tante persone, tante donne che lo hanno chiaramente segnalato e mi hanno difesa. La cosa grave è che quest’uomo è papà e io non auguro a lui che suo figlio sia mai vittima di body shaming o di qualsiasi altra forma di bullismo”.

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Commenti all'articolo

  • Max61

    06 Ottobre 2020 - 08:38

    Cara signora " Michela " ha la mia piena solidarietà per la sua assurda vicenda, su una cosa sola sbaglia ( secondo me sia chiaro ) nel fatto che anche il personaggio in questione, la moglie, i figli, sua madre e suo padre dovrebbero essere presi di mira di bullismo, e che vengano presi dalla depressione, cosi forse capiranno cosa significa.

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