VOCE
LA STORIA
27.12.2020 - 18:03
"Io ho seguito tutte le regole per rientrare in Italia ma nessuno mi ha controllato. Se fossi stato positivo avrei rischiato di dar vita ad un focolaio in Italia. Tutto viene lasciato al buon senso e al senso civico dei viaggiatori, ma non tutti ce l’hanno. Servirebbe un vero controllo al confine con l’Austria".
Luca Moncon, 23 anni di Grignano Polesine, già laureato in economia all’università di Padova e laureando in direzione aziendale all’università di Bologna, ha vissuto tutta l’esperienza della seconda ondata del virus e del lockdown lontano da casa, in Austria, dove si trovava per partecipare al progetto Erasmus. Il giovane rodigino è riuscito a fare rientro da poco a Rovigo, dopo diverse difficoltà.
Luca, quando sei andato in Austria e perché?
“Sono partito a settembre, prima che iniziasse la vera e propria seconda ondata. Avevo deciso di partecipare all’Erasmus perché per uno studente di economia è molto importante avere un’esperienza internazionale, perché arricchisce il curriculum dal punto di vista lavorativo. Inizialmente risiedevo a Villach, la città austriaca più importante dopo il confine italiano, da dove dista solo trenta chilometri. Ho pernottato in un dormitorio, dove dividevo un piccolo appartamento con un’altra persona pur avendo una stanza singola”.
Com’era la tua giornata tipo e come è stata complicata dalla pandemia?
“Per la maggior parte del tempo studiavo. Inizialmente era stato deciso un lockdown soft, presto seguito però da una stretta maggiore in cui era possibile uscire solo per necessità. Avevo lezione al pomeriggio, alla mattina dovevo raggiungere il centro con i mezzi di trasporto, che non sono stati gestiti bene, spesso quindi andavo a piedi a fare la spesa cercando di fare il più in fretta possibile perché gli ingressi erano contingentati. Stare recluso nel mio piccolo appartamento tutto il giorno è stato molto difficile”.
Come ha gestito la situazione l’Austria?
“Molto bene devo dire. Inizialmente hanno sottovalutato il virus come molti, ma quando è stato il momento di chiudere l’hanno fatto senza proteste, come so non essere successo in Italia. Bisogna dire che lì però i ristori alle attività sono stati molto più alti rispetto all’Italia, per questo gli austriaci hanno accettato meglio le restrizioni. La seconda ondata è stata molto pesante”.
Quali difficoltà hai incontrato per ritornare a casa?
“Fino al Dpcm del 4 dicembre era tutto tranquillo, mio padre avrebbe facilmente potuto superare il confine in auto per riportarmi a Rovigo in giornata. Nella notte tra il 9 e il 10 dicembre l’Austria ha cambiato però classificazione. Di conseguenza era più complicato passare il confine, bisognava presentare l’esito del tampone o mettersi in quarantena. Io ho scelto di sottopormi al tampone, ho dovuto aspettare un po’, ma sono riuscito a farlo. Il governo ha poi bloccato gli ingressi a chi non poteva trascorrere la quarantena in Austria, quindi mi sono dovuto recare autonomamente in treno a Tarvisio che è l’ultimo paese italiano. Avevo sia tampone negativo che autocertificazione, ma nessuno al confine mi ha chiesto niente. Io ho rispettato le regole ma non sono stato controllato, questo è un grave problema in una situazione come quella che stiamo vivendo”.
Conoscendo quello che hai vissuto, saresti partito comunque?
“A distanza di un anno dalla partenza, un’esperienza così non l’avrei vissuta. Sono stato mesi chiuso in appartamento. Sicuramente è stato utile, ho migliorato la mia seconda lingua e ho imparato a badare a me stesso”.
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