VOCE
Diario dell'alluvione-5
04.11.2021 - 19:26
Le operazioni di soccorso ed i servizi di assistenza per i cittadini rimasti, 6 o 700 su 4.000, per non andare a ramingare per il mondo e per salvare il salvabile anche dai ladri, facevano capo al Quadrivio del Popolo in municipio o nel palazzo dei Franco, dove alloggiavano gli ardimentosi battellieri del Garda.
Altri servizi pubblici eran passati in second’ordine per motivi diversi. Don Aniceto, senza parrocchiani o quasi, lo si vedeva sempre più spesso in compagnia del Sindaco Célega, quasi a formare un comitato ristretto di salute pubblica, ma soprattutto per essere al corrente degli aiuti in arrivo in Comune.
Il dott. Brugnolo non aveva che da imbarcare per l’ospedale chi aveva necessità di qualche medicina. Il vecchio speziale Dal Fiume, Tonin Bonagrazia, non poteva certo esaudire alcuna richiesta con due metri d’acqua in farmacia. Al contrario, ogni tanto si affacciava alla finestra per imprecare contro il sindaco che lo faceva morir di fame.
Il veterinario Stefani non aveva che una cinquantina di clienti, rifugiatesi appena in tempo nel Castello.
La levatrice era partita con un barcone di gestanti dal pontile improvvisato in via Garibaldi davanti alla Fanny.
L’ufficiale postale, maestro A. Vicentini, che era riuscito ad installare il telegrafo in stanza da letto e si turnava con la moglie Nelda per dare e ricevere informazioni e notizie, nemmeno ora che cominciavano ad arrivare i primi sacchi di corrispondenza riuscì ad ottenere un paio di stivali, indispensabili per poter circolare.
“Macché posta, macché pagamenti! - cianciava con indisponente noncuranza il sindaco - Ne abbiamo abbastanza da pensare a noialtri. Quelli che se ne sono andati si arrangiano, sì!, e meglio di noi. Pagamenti? E che ce ne facciamo dei soldi?!”
La comparsa sul ponte del Castello di Nino Catozzo, impegnato a trascinare per la cavezza un vitellino ancora da latte, mi distolse dalle peregrine vaghezze del sindaco.
L’animale, seduto sulle zampe posteriori e con quelle anteriori puntate rigidamente in avanti, resisteva anche alle legnate. Chissà per quale misterioso istinto sapeva la sorte che lo attendeva. E come lui lo sapeva la madre che ai suoi lamenti rispondeva con muggiti possenti e strazianti dall’interno del Castello. Una volta sotto “el pavajòn”, con una coltellata rapida e precisa, Nino lo atterò. Mentre la vittima continuava a fissarlo con occhi pietosi: “Bisogna pur mangiare!” mi disse per giustificarsi.
Vittorino Vicentini
5- continua
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