VOCE
DUE ANNI DI COVID
19.02.2022 - 16:11
Piazza Vittorio in lockdown
Il 29 il paziente zero del Polesine, il 17 marzo morì Bruna Trentini. Poi le varianti e il vaccino
ROVIGO - Tamponi, mascherine, zone rosse, lockdown. Limiti agli spostamenti, confini comunali come muri, passeggiate sì ma entro i 200 metri da casa, fabbriche e uffici chiusi, strade deserte. Non ce lo ricordiamo più, serve uno sforzo di memoria, ma queste cose, che oggi ci sembrano - se non normali - sicuramente possibili, due anni fa non erano nemmeno immaginabili. Ce lo avessero detto, due anni fa a quest’ora, non ci avremmo creduto, ci avremmo riso su. Invece, l’incubo era dietro l’angolo.
Bisogna riportare il calendario indietro di 730 giorni, per capire. Il 19 febbraio di due anni fa i giornali nazionali dedicavano la loro prima pagina alle schermaglie politiche tra Renzi e Conte sulle intercettazioni telefoniche; “La Voce” apriva con la querelle sul tribunale in centro città. Quel virus, ancora senza nome (“Covid” è una parola che sarebbe entrata nel vocabolario molto dopo) sembrava un problema tutto cinese, o al massimo limitato a qualche turista. Ventiquattr’ore dopo sarebbe cambiato tutto.
Il 20 febbraio di due anni fa, a Vo’, poco più di 30 chilometri dal Polesine, si ammalano in due. Il giorno dopo Adriano Trevisan, pensionato di 77 anni, muore. E’ la prima vittima del virus in Italia. Uno shock.
Vo’, come la lombarda Codogno, diventa zona rossa. L’esercito blocca gli accessi al paese, nessuno può entrare o uscire, ci sono check-point, controlli, militari ovunque. Sembra un film. E’ solo il trailer.
Il 29 febbraio c’è il primo caso in Polesine: un 50enne di Adria ricoverato in Malattie Infettive (“ma sta bene”, assicuravano dall’Ulss). Scattano i tamponi ai contatti stretti: 26, uno solo positivo.
Il 4 marzo il presidente del consiglio Conte va in tv: è la prima delle dirette serali, a cui poi ci siamo abituati. Il 9 marzo il governo dichiara la zona rossa nazionale: vietati gli spostamenti per motivi non necessari e addio a eventi e competizioni sportivi. I bar restano aperti, ma solo fino alle 18, poi tutti a casa. Le mascherine? Ancora un optional. E comunque non si trovano. L’11 marzo il governo ordina il lockdown. Il 17 marzo il Polesine piange la sua prima vittima: Bruna Trentini, 91 anni, di Bergantino. A livello nazionale, i decessi non si contano: da Bergamo, i morti vengono trasportati con i camion militari perché non c’è più posto in obitori e cimiteri. Passano anche dal Polesine, diretti al crematorio di Copparo. Una tragedia senza fine.
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