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Licenziato per frasi sessiste: "Va reintegrato"

La decisione della Corte d’appello di Venezia

Abusata tra gli scaffali dal capo

La giovane ha trovato il coraggio di denunciare. E ha fatto bene

Il caso di un dipendente Snam di 58 anni, rappresenta un esempio emblematico delle complesse dinamiche che possono emergere sul posto di lavoro. La vicenda, che ha visto il lavoratore licenziato, reintegrato e di nuovo licenziato prima di essere definitivamente reintegrato, solleva importanti questioni riguardanti i diritti dei lavoratori, le politiche aziendali e l'interpretazione della giustizia.

Il 9 febbraio 2022, l'uomo portiere-tuttofare presso la sede Snam di Padova, si trovava a conversare con una collega trentenne, addetta alla verifica dei green pass per la ditta Sicuritalia. Durante la chiacchierata, avrebbe pronunciato alcune frasi di chiaro contenuto sessista, riferendosi alla cantante spagnola Ana Mena, protagonista del Festival di Sanremo di quei giorni. Le parole, tra cui "Che provasse a mettersi nei panni di un uomo quando si trova davanti a una donna con un decolleté così... l’uomo si eccita di sicuro... è la natura che è così...", sono state percepite come offensive dalla collega, che aveva già subito molestie in passato.

La segnalazione della collega ha portato l'azienda ad avviare un procedimento disciplinare, culminato il 24 marzo 2022 con il licenziamento per giusta causa. Tuttavia, il lavoratore ha immediatamente presentato ricorso, ottenendo un reintegro provvisorio. La sentenza di primo grado del giudice del lavoro di Padova ha riconosciuto un ristoro di 22 mensilità, giudicando la sanzione sproporzionata rispetto alla gravità del fatto, ma ha confermato la perdita del posto di lavoro.

Non soddisfatto della sentenza di primo grado, l'uomo ha deciso di ricorrere in appello. La Corte d’appello di Venezia ha accolto il punto di vista dell'avvocato Roberto Finocchiaro, che assisteva il lavoratore, dichiarando illegittimo il licenziamento e ordinando la reintegrazione del dipendente, oltre al pagamento di un risarcimento di 12 mensilità più gli interessi. I giudici di secondo grado hanno ritenuto che le frasi, sebbene volgari, non costituissero molestie sessuali in quanto non finalizzate a intimidire o offendere l'interlocutrice. Hanno inoltre sottolineato che l'episodio si è verificato in un contesto confidenziale, escludendo il carattere offensivo, discriminatorio o intimidatorio delle parole.

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