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VENETO

Si vestiva donna: lo licenziano, il poliziotto sarà risarcito

Lo ha deciso, dopo circa una ventina d'anni, il Tribunale amministrativo regionale del Veneto

Si vestiva donna: lo licenziano, il poliziotto sarà risarcito

Era stato prima sospeso e destituito. Licenziato, in parole povere. Il poliziotto, fuori servizio, si sarebbe spesso vestito da donna. Ora è arrivata la decisione del Tar, tribunale amministrativo regionale, del Veneto, fatta salva, chiaramente, la possibilità di impugnazioni di fronte al Consiglio di Stato: il poliziotto, oggi sessantenne, ha il diritto di ricevere gli arretrati non percepiti in conseguenza del procedimento disciplinare.

Da parte sua, il diretto interessato ha sempre precisato di non essere gay, né transessuale, ma di amare semplicemente vestirsi con abiti femminili. Dopo l'istruttoria condotta dalla Questura, nel 2006 erano però scattate la sospensione e la decadenza, successivamente annullate dai giudici. La vicenda era finita nel dimenticatoio pubblico, ma era rimasta una ferita aperta nel vissuto del diretto interessato, dispensato dal servizio per inabilità fisica: "Veniva dichiarato affetto da un disturbo dell'identità di genere che, oltre a chiarire la condotta oggetto di censura, determinava la declaratoria di permanente non idoneità al servizio", ricorda infatti il Tar, accogliendo il ricorso dell'ex agente sul piano del trattamento economico.

La sentenza svela infatti cos'è successo dopo che il Viminale ha accertato la disforia di genere. Gli uffici hanno reputato l'ex poliziotto idoneo "al servizio nei ruoli civili del Ministero dell'Interno o nelle altre Amministrazioni dello Stato", benché "in mansioni compatibili con la sua ridotta capacità lavorativa e la natura delle infermità sofferte". Ne è stata così disposta la riammissione al lavoro, ma con un temporaneo collocamento in aspettativa speciale, fino alla conclusione della procedura di passaggio nei ruoli del personale civile. La persona ha così chiesto gli emolumenti non percepiti a partire dalla sua destituzione, ma la sua domanda è stata respinta dal dicastero. A quel punto è scattato l'ennesimo ricorso al Tar.

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