VOCE
LA GRANDE MOSTRA
26.02.2023 - 17:20
“Renoir: l’alba di un nuovo classicismo”, a palazzo Roverella fino al 25 giugno, è una mostra prestigiosa per i capolavori esposti e decisamente originale nell’impostazione voluta dal suo curatore Paolo Bolpagni, in un emozionante fil rouge di opere di vari artisti a confronto, che ha come collante proprio l’opera di Pierre-Auguste Renoir.
E questo sembra l’abbia già capito il grande pubblico, che l’ha visitata in massa in questo primo week-end con numeri da capogiro.
Sono stati tantissimi i visitatori ieri, sabato e oggi domenica 26 febbraio, e già venerdì erano 10mila le prenotazioni arrivate per visitare l’esposizione, che non aveva ancora nemmeno aperto i battenti. Insomma, la programmazione culturale rodigina, promossa da Fondazione Cariparo, si conferma ancora una volta un’iniziativa di pregio per la nostra città, con evidenti ricadute anche economiche per il tessuto commerciale del centro storico.
Dal punto di vista artistico, il percorso nelle dieci sale segue l’evoluzione artistica di Renoir, a partire dagli inizi, tra gli anni 70 e 80 dell’Ottocento, che lo videro tra i massimi esponenti dell’Impressionismo, insieme a Pissarro, Monet, Sisley, Degas, Morisot e Manet, anche se già si distingueva per lo studio della luce e la sensualità della linea. La seconda sala propone uno sguardo d’insieme degli italiani attivi a Parigi durante la stagione impressionista: da Giovanni Boldini a Giuseppe De Nittis e Federico Zandomeneghi, con il corrispettivo plastico di Medardo Rosso.
Nella sala successiva si iniziano a vedere i primi ripensamenti di Renoir sull’Impressionismo, verso la fine degli anni Settanta, quando, in preda ad un’inquietudine artistica, si allontanò da Parigi per visitare Algeri nel 1880 e l’Italia nel 1881-82, sempre inseguendo quel suo particolare interesse per la luce e dove fu poi ammaliato dall’arte rinascimentale, che l’avrebbe portato alla riscoperta di una nuova classicità, da lui proposta in soluzioni moderne.
Le opere di questo periodo - poste a confronto con capolavori di Carpaccio, Tiziano, Tiepolo e Ingres - rivelano una vera rivoluzione creativa: le linee diventano più nette, i contorni definiti, mentre l’attenzione si sposta alle volumetrie e alla monumentalità delle figure delineate dai chiaroscuri. I richiami mitologici della quarta sala e le bagnanti nella quinta, confermano la nuova direzione di Renoir che, lontano dai coevi Postimpressionismo e Simbolismo, apre ad una sensibilità, ispirata all’iconografia mitica e resa in un possente stile materico neo-rinascimentale nella ricerca di un ordine “modernamente classico”, poi diffusasi tra le due guerre (Marino Marini, Arturo Martini ed Eros Pellini, Giorgio de Chirico, Ferruccio Ferrazzi).
Seguono una serie di sale “tematiche”, dalla sesta alla nona, in cui vengono approfonditi alcuni dei soggetti affrontati da Renoir (sempre in confronto con le produzioni di altri celebri artisti): paesaggi, nature morte, ritratti femminili, gli affetti familiari. Ma la presentazione dell’artista francese non sarebbe completa senza un Renoir incisore e litografo, nella decima sala, che ci mostra alcuni suoi esperimenti, a partire dal 1890.
L’ultima sala riserva un’autentica sorpresa e rarità: la visione del film “Partie de campagne” (Una gita in campagna), con cui Jean Renoir - secondo figlio dell’artista e noto regista - ha ricreato le suggestive atmosfere che ispirarono suo padre.
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