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IL LUTTO

Addio Roberto Massarotto, mitico mister

Aveva solo 55 anni. Una vita sui campi, era un punto di riferimento per i “suoi ragazzi”. “Lasci un vuoto enorme”

E come facevi a non volergli bene? Roberto Massarotto viveva di calcio, e per “i suoi ragazzi” era tutto: una guida, un padre, un amico. Quello con cui potevi fare una serata in allegria, ma anche quello che ti rimetteva in riga se, in campo o fuori, osavi mancare di rispetto a qualcuno. Perché si può vincere o perdere la partita, ma comportandosi sempre - e solo - da uomini.

Roberto la sua ultima partita l’ha persa, questa mattina, 27 febbraio. Se n’è andato, all’hospice di Lendinara dove era ricoverato da alcune settimane, ai tempi supplementari di un lungo ed estenuante match contro l’avversario più crudele, il cancro. Un avversario che mister Massarotto ha guardato negli occhi e sfidato a duello, risultando vincitore per ampi tratti della partita. E vincitore resterà, comunque, nei cuori di tutti quelli che lo hanno conosciuto e amato, in oltre un decennio speso sui campi di mezza provincia.

Roberto, a giugno, avrebbe compiuto 56 anni. Lascia la moglie Rossella e un figlio. Oltre a una, vastissima, comunità di amici, di tutte le età. Originario di Selva di Crespino, viveva con la famiglia a Rovigo, nel quartiere San Pio X, e lavorava come operaio e mulettista. Ma la sua vita era tutta su quel rettangolo di terra verde, delimitato da linee di calce bianche.

Allenamenti e partite, partite e allenamenti. Nei ritagli di tempo, il calcio mercato. Nella sua doppia veste di tecnico e dirigente in cui si è fatto conoscere, e apprezzare, anno dopo anno, in tutto il Polesine, grazie ai suoi modi schietti e sinceri e alle innumerevoli trattative chiuse con una stretta di mano.

I primi passi in questo mondo li ha mossi a Roverdicrè, nel campionato amatori Uisp. Sulla panchina ha esordito nel lontano 2007, con il Gavello, sempre negli Amatori. In Figc inizia come vice di Tosini alla Bosarese, nel 2008, per poi guidare gli Amatori Fratta. Nel 2010 prende la guida del Guarda Veneta, dove resta un biennio, seguirà poi l’avventura a Costa prima di legare il suo nome, indissolubilmente, ai colori del Pontecchio, all’epoca non ancora “Real”. Dal 2013 guida la squadra granata, ma nel 2014 è la Figc a gelarlo.

“I miei genitori avevano campagna, a Selva. Ero il più vecchio di tre fratelli, e dovevo andare a lavorare per aiutare la famiglia. A 13 anni lustravo le macchine alla carrozzeria Roma”, ricordava, quasi commosso. Sta di fatto che - erano altri tempi! - non prese mai la licenza di terza media, e a causa delle nuove regole federali entrate in vigore quell’anno non avrebbe più potuto allenare: niente “diplomino”, niente tesserino.

Un colpo al cuore per Roberto, abituato a respirare l’aria di campo e di spogliatoio con i suoi ragazzi. Ma non abbastanza per fargli passare la passionaccia. A Pontecchio diventa dirigente, direttore sportivo e tuttofare, ma con “delega” a occuparsi degli aspetti tecnici. Un allenatore aggiunto, dietro la panchina, di là della rete, a sgolarsi per 90 minuti. Resta lì fino al 2016, poi per un anno passa al Medio Polesine, per fare subito ritorno a casa. Resta direttore generale fino al Covid, quando l’emergenza fa saltare tutti i campionati. Si occupa di tutto: giovanili, prima squadra. Fa anche il magazziniere, se c’è bisogno.

Intanto, inizia la lotta al tumore. Negli ultimi anni, la malattia lo indebolisce e lo tiene lontano dal calcio attivo. Non dai pensieri dei suoi ragazzi che ogni domenica lottano per lui. La società non manca mai di dedicargli vittorie e riconoscimenti per tutto quello che ha fatto. Nel 2021, l’ultimo premio “per l’impegno e la passione profusi in tanti anni”.

Ieri, tutto il mondo del calcio polesano si è risvegliato più povero. E pochi sono riusciti a trattenere le lacrime. “Ciao Roberto, ciao Vialli”, citando lo storico soprannome, guadagnato un po’ per la pelata, un po’ per la passione per il calcio. Come Vialli, inteso come Gianluca, se n’è andato troppo presto, lasciando un vuoto enorme.

“Era un ragazzo stupendo, che metteva sempre il calcio al primo posto. Riusciva a farsi voler bene dai giocatori, avversari, tecnici e sponsor. Aveva una dote innata, ci mancherà tanto”, lo ricorda l’amico Lucio Turolla, per tanti anni al suo fianco come presidente del Pontecchio.

La data dei funerali non è ancora stata fissata dalla famiglia. Ma un intero popolo si stringerà ai suoi cari per salutarlo un’ultima volta. Ciao, Vialli.

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