VOCE
ECONOMIA
08.07.2023 - 20:30
Salario minimo? Sì, ma attenzione. La Cgia di Mestre, infatti, mette tutti sul chi va là: il rischio, per l’osservatorio economico degli artigiani, è un aumento in parallelo del lavoro nero che già in Veneto conta quasi 192mila impiegati.
Per la Cgia di Mestre, nel caso fosse introdotto per legge il salario minimo a 9 euro lordi all’ora, di cui si sta dibattendo a livello parlamentare, potrebbe esserci “il serio pericolo di veder aumentare nel Paese il lavoro irregolare, in particolare nei settori dove attualmente i minimi tabellari sono molto inferiori alla soglia proposta dal disegno di legge presentato nei giorni scorsi alla Camera; si tratta, spesso, di comparti ‘fiaccati’ da una concorrenza sleale molto aggressiva praticata dalle realtà che da sempre lavorano completamente in ‘nero’. Stiamo parlando dell’agricoltura, del lavoro domestico e di alcuni comparti presenti nei servizi. In altre parole, non è da escludere che molti imprenditori, costretti ad aggiustare all’insù i minimi salariali, potrebbero essere tentati a licenziare o a ridurre l’orario ad alcuni dei propri dipendenti, ‘costringendoli’ comunque a lavorare lo stesso, ma in ‘nero’. L’adozione di questa ‘contromisura’ consentirebbe a molte attività di contenere i costi e di non scivolare fuori mercato”.
Per la Cgia, una manovra del genere potrebbe avere l’effetto di far aumentare i lavoratori in nero, soltanto nel Veneto, di 10mila unità, superando così 200mila unità.
“Secondo una nostra elaborazione su dati Istat - scrivono infatti dall’ufficio studi - gli ultimi dati disponibili ci dicono che in Veneto ci sono quasi 192mila occupati in ‘nero’ e registriamo un tasso di irregolarità dell’8,5%. In Italia solo la provincia autonoma di Bolzano ha un tasso inferiore al nostro (8,4%). Stimiamo, in particolar modo tra le badanti e i braccianti, che nella nostra regione il numero degli irregolari potrebbe aumentare di almeno 10 mila unità. Il pericolo maggiore, comunque, potrebbe interessare in particolar modo il Mezzogiorno che, già oggi, conta una economia sommersa molto diffusa, con una incidenza che sfiora il 38% del totale degli occupati non regolari presenti in Italia (in termini assoluti 1,1 milioni di persone su un totale di 2,9)”.
Nonostante questa criticità, la Cgia si dice comunque “favorevole all’introduzione di un salario minimo orario di 9 euro lordi all’ora, purché al trattamento economico minimo, ovvero i minimi tabellari previsti dai singoli contratti nazionali, si aggiungano le voci che compongono la retribuzione differita. Elementi questi ultimi presenti nel contratto collettivo nazionale che costituiscono il cosiddetto trattamento economico complessivo”.
Per la Cgia, comunque, “è indubbio che abbiamo la necessità di elevare le retribuzioni per garantire un tenore di vita più dignitoso, in particolar modo ai lavoratori più deboli. Da un punto di vista macroeconomico, ad esempio, con più soldi in tasca è verosimile ritenere che i consumi delle famiglie sarebbero destinati ad aumentare, dando così un impulso importante all’economia dell’intero Paese. Le casse dello Stato, inoltre, potrebbero contare anche su un maggiore gettito fiscale e contributivo. Non solo. La letteratura specializzata ci segnala che i bassi salari portano a una diminuzione dell’impegno e quindi dell’efficienza delle maestranze nei luoghi di lavoro. Per contro, l’adozione di un salario minimo per legge provocherebbe un aumento certo dei costi in capo alle aziende che, molto probabilmente, verrebbero ammortizzati attraverso un conseguente incremento dei prezzi dei prodotti finali. Così facendo, a pagare il conto sarebbero i consumatori finali”.
A livello micro, invece, “bisogna tener conto anche dell’effetto trascinamento che l’introduzione del salario minimo per legge avrebbe nei confronti dei livelli retributivi che oggi si trovano sopra i 9 euro lordi. Appare evidente - per la Cgia - che se si dovesse toccare all’insù la retribuzione per i livelli più bassi, la medesima operazione dovrebbe essere effettuata anche per gli inquadramenti immediatamente superiori. Diversamente, molti lavoratori si vedrebbero ridurre o addirittura azzerare il differenziale salariale con i colleghi assunti con livelli inferiori, pur essendo chiamati a svolgere mansioni superiori a questi ultimi. L’introduzione di un salario minimo per legge non rappresenta l’unica soluzione per rendere più pesanti le buste paga, principalmente quelle più basse".
"Sarebbe opportuno, come in parte ha fatto sia il governo Draghi sia quello Meloni, ridurre il cuneo, in particolar modo la componente fiscale in capo ai lavoratori dipendenti e bisognerebbe rinnovare i contratti. Altresì, andrebbe incentivata la contrattazione decentrata: oggi solo un terzo dei lavoratori dipendenti del settore privato può beneficiare degli effetti della contrattazione di secondo livello”.
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