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TRAGEDIA COIMPO

Ci sarà un altro processo per la strage

Condanne annullate per due delle imputate, si torna davanti alla Corte di Appello

Ci sarà un altro processo per la strage

Condanne annullate per due delle imputate, si torna davanti alla Corte di Appello

E’ una sentenza che, in buona sostanza, consente a tutti di ritenersi soddisfatti: alle parti civili, perché di fatto l’impostazione accusatoria generale ha retto, alle difese perché per due delle imputate la sentenza di appello è stata annullata, con rinvio alla corte di secondo grado, che dovrà attenersi alle indicazioni della Cassazione per un nuovo esame; inoltre, sempre le difese hanno evidenziato l’intervenuta prescrizione per un reato minore, pure riconosciuta dai Supremi giudici, con conseguente necessità di rideterminare le pene.

Al centro di tutto, una delle peggiori tragedie sul lavoro degli ultimi decenni in Polesine: quella avvenuta il 22 settembre del 2014, quando una nube tossica, generatasi nello stabilimento Coimpo - Agribiofert che si trova in località America, Ca' Emo, Comune di Adria, stroncò quattro vite in pochi istanti.

Morirono  Nicolò Bellato, 28 anni, di Bellombra, impiegato di Coimpo;  Paolo Valesella, 53 anni, di Adria,  operaio Coimpo;  Marco Berti, 47 anni, di Sant’Apollinare,  dipendente Coimpo;  Giuseppe Baldan, 48 anni, di Campolongo Maggiore. A quanto emerso, la nube si sviluppò mentre in una vasca di fanghi era in corso lo sversamento di acido. Le due aziende, infatti, si occupavano proprio di trattare fanghi per riutilizzarli poi come fertilizzanti in agricoltura.

Dopo la tragedia, l’accusa si focalizzò su procedimenti non a norma e non rispettosi delle autorizzazioni che avrebbero dovuto governare la lavorazione. Da qui l’ipotesi di reato di omicidio colposo. La sentenza di Appello, dello scorso 7 marzo 2022, dopo quella di primo grado, del 29 ottobre 2019, aveva disposto una rimodulazione delle pene: Gianni Pagnin, presidente del cda Coimpo, era passato da 7 anni e 8 mesi a 6 anni e 4 mesi; Mauro Luise, direttore tecnico della Coimpo e dirigente di fatto della Agribiofert, da 6 anni e 6 mesi a 5 anni e 4 mesi; Alessia Pagnin e Glenda Luise, entrambe nel cda Coimpo, da 3 anni e 9 mesi a 2 anni e 5 mesi ciascuna; Rossano Stocco, legale rappresentante della Agribiofert, e Michele Fiore, dirigente di fatto di Agribiofert, erano passati rispettivamente da 3 anni e 4 mesi a 2 anni e 3 mesi e da 3 anni e 9 mesi a 2 anni con la sospensione condizionale.

Il verdetto della Corte di Cassazione è arrivato nella serata di martedì 11 luglio: per Glenda Luisa e Alessia Pagnin è stato disposto l’annullamento della sentenza di Appello, con rinvio alla Corte, che dovrà attenersi, nel nuovo giudizio, alle indicazioni che arriveranno dalla Cassazione, in sede di motivazioni.

Per gli altri imputati, è stato accolto il rilievo dell’avvocato Marco Petternella - tra gli altri difensori gli avvocati Luigi Migliorini e Pierfrancesco Munari - che aveva evidenziato come fossero decorsi i termini di prescrizione relativi al reato di lesioni personali colpose, nei confronti di un dipendente salvatosi, quel tragico giorno. La Corte di Appello, quindi, dovrà rideterminare le pene, ovviamente al ribasso, tenendo conto di questa intervenuta prescrizione.

Rigettati gli altri motivi di ricorso.

Sulla sentenza di Cassazione è intervenuto un commento degli avvocati di parte civile Cristina Guasti, Carmelo Marcello, Marco Casellato e Matteo Ceruti.

“L’impianto accusatorio del processo Coimpo ha retto anche a Roma- scrivono - Poco contano la prescrizione riconosciuta per il reato di lesioni personali gravissime e l’annullamento con rinvio nei confronti delle due imputate ‘minori’. Possiamo senz’altro dire che, dopo tre gradi di giudizio, il processo ha accertato che la tragedia del 22 settembre del 2014, quando persero la vita quattro lavoratori, e gli odori molesti che per anni hanno creato forti disagi ai residenti nelle vicinanze dell’impianto Coimpo-Agribiofert sono riconducibili, senza alcun dubbio, alle gravi carenze organizzative in termini di sicurezza dell’impianto imputabili agli imputati che hanno realmente gestito quell’impianto".

"Ciò che importa, ribadiamo, è la condanna definitiva che, vale la pena ricordarlo, è stata confermata dalla Corte di Cassazione anche in relazione ai reati ambientali per i quali la prescrizione era maturata già nel giudizio di appello ma che gli imputati volevano fosse ‘cancellata’ per non dover pagare i risarcimenti già stabiliti dal Tribunale di Rovigo e dalla Corte d’Appello di Venezia. A questo punto, visto che nulla di diverso in punto responsabilità potrà essere deciso nel nuovo giudizio di appello, fissato per la determinazione finale della pena comminata ai singoli condannati, ci auguriamo che questi ultimi almeno decidano di risarcire alle parti civili i danni già quantificati nei precedenti due gradi di giudizio e su cui la Suprema Corte ha ormai messo la parola ‘fine’”.

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