VOCE
L'ALLARME
30.09.2023 - 05:00
All’inizio dell’estate è stata la Lombardia: prima il lodigiano poi via via verso la provincia di Mantova, con “puntate” anche verso il confine con il Veronese. E adesso la peste suina africana è arrivata quasi alle porte del Polesine, l’ultimo “argine” prima dell’espansione nel resto d’Italia. Anche per questo l’allerta è via via cresciuto, di pari passo con la preoccupazione che l’avvio della stagione venatoria possa contribuire ad un’ulteriore espansione del fenomeno. E nel veronese sono già scattate una serie di misure di prevenzione a partire da un aumento dell’abbattimento dei cinghiali.
La peste suina africana è infatti una malattia letale per suini e cinghiali. Non esistono vaccini anche se, fortunatamente, non è trasmissibile all’uomo. C’è però un solo modo per cercare di contenerla. La scoperta di un focolaio in un allevamento, proprio come avveniva con l’aviaria per i volatili, comporta l’abbattimento non solo degli animali contagiati, ma anche di quelli a rischio di contagio dentro all’allevamento e nel raggio di alcuni chilometri. Solo per fare qualche esempio, di recente nella zona di Pavia sono stati uccisi quasi 34mila maiali in vari allevamenti intensivi. E di questi, 20mila in via preventiva. Come sempre in questi casi, dopo l’abbattimento le carcasse vanno smaltite negli inceneritori.
Nel mantovano, invece, 5mila suini sono stati abbattuti in un allevamento a Solarolo di Goito. E sono solo due esempi sui tanti che si potrebbero fare. Il danno economico per gli allevatori è notevole, senza contare la ricaduta su un intero settore - quello della carne suina - che proprio in questi mesi sta per entrare nel vivo della produzione.
Le direttive europee per il controllo della diffusione della peste suina africana, tra l’altro, sono molto rigide e prevedono che nei territori con un alto numero di contagi vengano attivate misure restrittive speciali, che vietino o limitino attività considerate rischiose come lo spostamento degli animali, anche perché l’unica vera prevenzione consiste nell’evitare che il virus entri in un allevamento. E non è semplice, soprattutto in zone con una forte presenza di cinghiali o dove il commercio di animali vivi è costante. Un allargamento della zona a rischio al Veneto e al Polesine, che come abbiamo visto è proprio ai confini delle zone coinvolte dal fenomeno, comporterebbe un danno economico notevole.
La malattia è causata dal virus “Asfv”, un patogeno capace di sopravvivere anche per diversi mesi all’interno di salumi o nella carne congelata. L’uomo, anche se non corre il rischio di ammalarsi, è però spesso il vettore del virus.
Il contagio può avvenire infatti per contatto con qualsiasi oggetto contaminato, compreso l’abbigliamento. Anche per questo la Regione Veneto ha fatto scattare in via precauzionale protocolli di sicurezza decisamente restrittive, a cominciare da puntuali verifiche veterinarie prima e dopo la macellazione, la pulizia e la disinfezione dei mezzi di trasporto. Insomma niente allarmismi, ma massima attenzione a tutela di un comparto che in regione fattura 250 milioni di euro.
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