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L'ANNIVERSARIO DELLA GRANDE TRAGEDIA

“Vajont, io c'ero: nei morti rivedevo i miei figli”

“Attorno a noi solo devastazione. Non scorderò mai quei giorni. C’erano montagne di cadaveri”

“Vajont, io c'ero: nei morti rivedevo i miei figli”

“Non riesco nemmeno a raccontare tutto ciò che ho visto lassù, immagini strazianti”. Con le lacrime agli occhi, Anselmo Ferrigato, a 86 anni, vigile del fuoco in pensione, ricorda ancora i drammi che gli toccò vedere, mentre era in servizio, a causa del disastro del Vajont.

A sessant’anni dalla tragedia, tra pochi giorni tornerà in quei luoghi, per la giornata commemorativa che vedrà la premiazione di quanti, ancora in vita, hanno portato la propria professionalità in quei momenti, alla presenza del presidente della Repubblica, Sergio Mattarella. Tra i suoi tre figli, Stefania, Rossana e Pierpaolo, ce n’è uno, ovvero quest’ultimo, che ha deciso di continuare con questa professione, che è una vera e propria missione. Anselmo è uno dei due vigili rodigini ancora in vita che hanno assistito al disastro del Vajont.

Seduto su una sedia, tra i suoi cimeli di una vita, accompagnato dalla moglie Luciana, sempre con lui, e da Stefania, Anselmo Ferrigato ricorda quanto successo in quei frangenti, lui che è stato un eroe anche in Friuli Venezia Giulia, in Irpinia, in tanti episodi alluvionali che hanno toccato il nostro Polesine, per una vita spesa per gli altri.

“Ho deciso subito - racconta Ferrigato - di proseguire il mio cammino come vigile, dopo il servizio militare che feci nel 1958. Dal 1960 sono orgogliosamente un vigile del fuoco, un mestiere che ho amato e onorato ogni giorno della mia vita, ma che è stato duro per la lontananza che mi portava via dalla famiglia e per tutto quello che ho dovuto vedere, sia nelle grandi tragedie, sia anche negli incidenti di ogni giorno. E’ un lavoro che non ti lascia indifferente”.

Riguardo il Vajont spiega: “Ricordo ancora che era mezzanotte, alle 5 del mattino eravamo già sul posto. Da Rovigo partiva una bella squadra di vigili e ci siamo trovati davanti la morte. Ho visto montagne di morti, uno sull’altro, spesso mutilati, nessuno si era salvato. Provavamo a guardare, ma niente, c’era solo morte e devastazione. Un’immagine, in particolare, ancora mi rimane impressa per la sua tragicità: una donna partoriente che aveva ancora attaccato il proprio bambino con il cordone ombelicale. Non me lo potrò mai scordare”.

E più passavano i giorni, più la situazione era difficile: “I morti erano troppi da togliere in fretta e l’accumulo dei corpi aveva creato un tanfo che ci faceva stare male. All’epoca non c’erano i dispositivi di sicurezza igienico-sanitari di oggi, ci coprivamo la bocca e il naso con le mascherine antipolvere. Per non sentire quell’odore, mi aprivo una bottiglietta di grappa da mettere sotto le narici, ma non bastava”.

Le risposte sono alternate dalle lacrime, ancora così vivido è il ricordo: “Non riesco neanche a dire bene ciò che ho visto, so solo che ogni volta che mi ritrovavo di fronte a una tragedia, come questa, non facevo che pensare alla mia famiglia, con il terrore di figurarmi i miei figli nei volti di quei bambini”.

Ma se tornasse indietro, Anselmo, farebbe sempre la stessa scelta: “Rifarei sempre la stessa professione, per quanto sia stato dura e a volte anche difficile da sopportare per ciò che ho visto: io sono e sarò sempre un vigile del fuoco”.

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