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POLESINE 1951

Una storia che riguarda tutti noi

La tragedia ha spinto molti a veri atti d’eroismo. E ogni famiglia ha una vicenda da raccontare

Una storia che riguarda tutti noi

Una tragedia che, per fortuna, ha avuto tanti eroi. L’alluvione del 14 novembre 1951 ha sferzato il Polesine, ma non ha annientato i polesani. Anzi, ha messo in risalto la loro tempra e spinto molti a veri e propri atti di eroismo.

La grande alluvione di 72 anni fa ha lasciato una traccia indelebile nella memoria collettiva di tre generazioni. Un evento, ovviamente, segnante per chi l’ha vissuto in prima persona, ma anche per i loro figli o per chi era ancora troppo piccolo per ricordare. Non solo: persino ai “nipotini degli alluvionati”, una generazione che oggi è pienamente nell’età adulta, sembra quasi di esserci stati, da tanto le vicende di quei giorni sono state tramandate, di bocca in bocca, all’interno delle famiglie. Non soltanto qui, ma ovunque i polesani di allora siano finiti, nella diaspora post-alluvionale che ha portato via oltre 100mila abitanti alla nostra provincia.

Ogni famiglia ha la propria vicenda da raccontare, una propria personalissima storia che si inserisce nella Storia, quella con la “s” maiuscola, della rotta del 1951.

Tra queste, un posto di rilievo lo merita l’episodio che ha coinvolto Francesco Mauri, professione capostazione, che abitava con la famiglia nella stazione ferroviaria di Occhiobello, ai piedi del ponte sul Po. Mauri era in servizio quella notte, quando il Po ruppe gli argini in due punti, a poche centinaia di metri dalla ferrovia. “Papà diceva sempre: ‘Il Po non romperà mai’. Per questo non eravamo scappati, come molti altri”, ricordava il figlio Egidio Mauri, appena 14enne all’epoca dell’alluvione. “Verso le 22, 22.30, uscii di casa - raccontava Egidio - dissi a papà: che nebbia, questa sera”.

Non era nebbia: era l’acqua del Po, che saliva da dietro il terrapieno della ferrovia. Mentre i binari si allagavano, da Rovigo stava arrivando il Rapido 495 diretto a Ferrara, e subito dietro un Accelerato proveniente da Venezia. Si sarebbero infilati dritti nel Po, centinaia di persone sarebbero morte. Se Francesco Mauri, quella notte, non fosse rimasto al suo posto. Non ci pensò un attimo: chiamò la stazione di Canaro, dicendo di fermare tutti i treni. Ma il Rapido, ormai, era passato. Così Francesco mise il semaforo rosso a Occhiobello, ma anche questo risultò inutile. Non restava che mandare un manovratore, Sante Paltanin, incontro al treno, con una torcia e una bandierina rossa, per fermarlo.

Solo una volta messi in salvo i passeggeri dei treni in arrivo, Francesco pensò a se stesso, e alla sua famiglia. “Era ormai mezzanotte - ricorda il figlio Egidio - quando papà chiamò la stazione di Pontelagoscuro. Un suo amico, un certo Piacentini, non ci pensò un attimo: mise in moto la macchina a vapore e attraversò il Po, con l’acqua che ormai aveva ricoperto il ponte. Quando imboccò la discesa, dalla parte polesana del fiume, l’acqua arrivava fino alla caldaia. Ancora un po’ e avrebbe rischiato di restare intrappolato nella motrice. Non poteva avanzare: suonò, noi capimmo e lo raggiungemmo. Salimmo sulla macchina, e ci portò a Pontelagoscuro, in salvo, ospitandoci qualche giorno a casa sua. Forse in seguito venne richiamato dalle Ferrovie per aver rischiato di danneggiare o perdere la motrice, ma per me fu un eroe”, le parole di Egidio Mauri.

Un’altra storia arriva da Bosaro, ed è quella di Argante Rossi, ufficiale idraulico la cui immagine finì in un documentario dell’istituto Luce, immortalato mentre, su un traghetto ricavato da un vecchio portone, portava in salvo 15 persone.

Argante è morto nel 2012, a 99 anni. La figlia, Maria, ne raccontò la storia. “Quando il Po ruppe gli argini - le sue parole - l’acqua riempì anche il Canalbianco e tracimò come una furia anche oltre la sponda sinistra. Noi vivevamo nel magazzino idraulico, lì trovarono riparo molte persone: i soccorritori, innanzitutto, e poi alcuni sfollati. Si salvarono con una trovata: un traghetto improvvisato, ricavato da un vecchio portone, guidato con una corda fissata ad un’inferriata del piano terra e dall’altra parte a un camion, che aspettava sull’argine. Papà riuscì a ‘guidarli’ fin lì”. Solo una delle tante storie di un evento che ha segnato in modo indelebile la storia di questa terra.

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