VOCE
IL CASO
02.01.2024 - 21:04
Un eroe popolare. La “macchina” dei social sta trasformando in questo Veloman, l’anonimo tagliatore di autovelox ha ha colpito, in Polesine, sette volte negli ultimi sette mesi.
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Giorgio Osti, docente universitario esperto in sociologia, analizza il fenomeno social, nei suoi limiti e nelle sue potenzialità, facendo riferimento in particolar modo a quanto accaduto con il “killer” degli autovelox della nostra provincia: una “ola” di approvazione si è alzata, attraverso le piattaforme online, per sostenere chi ha abbattuti i rilevatori di velocità.
Ma per il professore, i social hanno grande potenzialità poiché sono un luogo virtuale di informazione e comunicazione senza imposizioni. D’altro canto, però, sono piazze di fomentazione di folle. Certo è che quanto meno, sui social, non è possibile ricorrere alla violenza fisica.
Professore, cosa ne pensa del social come luogo di informazione e comunicazione?
“In generale li ritengo un fenomeno di massa positivo, nel senso che sono un’invenzione al pari dell’automobile: la gente è diventata autonoma, in particolar modo le classi popolari, che così possono permettersi una libertà che prima non avevano. La comunicazione di massa prima del loro avvento era verticistica, controllata. I social hanno scardinato questo sistema, pur con diversi limiti ed effetti secondari. In ogni caso è chiaro che si è allargata la possibilità di comunicare anche per persone non con posizioni di rilievo nelle sfere di potere”.
Ci sono anche effetti secondari negativi, però.
“Certo, ma noi siamo più abituati a vedere i fenomeni estremi rispetto alla grande quantità di messaggi civili utili che circolano, portando un cambiamento positivo. Si pensi a quante aziende, anche di piccole dimensioni, oggi possono farsi conoscere da un pubblico più ampio”
E’ lampante quanto accaduto rispetto alla questione degli autovelox: a centinaia le persone che, senza remore, sostengono chi li ha abbattuti. Come spiegarsi questo fenomeno?
“Non mi stupisce dato che l’auto, come detto, è un segno di libertà individuale, oltre che una conquista. E’ evidente che se si cerca di limitare quella libertà, si viene visti negativamente e chi abbatte un velox diventa così una specie di eroe popolare. Sono fatti che alimentato i sentimenti anti-sistema presenti da sempre nella cultura italiana. I social creano infatti lo stesso effetto di una piazza o di uno stadio: c’è una massa di persone a contatto che si contagia a vicenda, adottando anche comportamenti o linguaggi irrazionali. Non per questo, però, possiamo immaginare un mondo senza social. Se poi pensiamo che ci sono anche rappresentanti politici che concordano e che, come si dice, sono di governo e di opposizione allo stesso tempo, ci si sente ancora più legittimati a farlo”
Dobbiamo averne paura?
“Dato che al momento i grandi concerti e gli stadi sono molto regolamentati, la valvola sociale di sfogo resta il social, un po’ alla stregua delle scritte nei gabinetti. Cinicamente potremmo dire che can che abbaia non morde. Inoltre, c’è una specie di razionalità del sistema: fintantoché i social rimangono lo sfogo della pentola a pressione sociale, evitando così escalation violente fisiche, rimarranno tali e, anzi, possono essere un indicatore per intervenire nelle fonti di disagio maggiore. Poi, chi insulta ha in sé una dose di frustrazione personale e l’insultatore seriale viene identificato, perdendo così credibilità. Ognuno di noi ha una credibilità, come nella vita reale, così nella vita virtuale. Al momento, con questo meccanismo di autoregolazione, rimango positivo rispetto a questo strumento che abbiamo”.
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