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LA STORIA

L'ex prefetto Provolo condannato per la strage di Rigopiano

La corte d'appello ribalta la decisione del primo grado

L'ex prefetto Provolo condannato per la strage di Rigopiano

Francesco Provolo

Francesco Provolo, ex prefetto di Pescara ed ex prefetto di Rovigo, è stato condannato a un anno e otto mesi nel processo d'appello per la tragedia di Rigopiano, avvenuta nel 2017 e costata la vita a 29 persone. La decisione dei giudici della Corte d'Appello dell'Aquila è arrivata al termine della camera di consiglio durata quasi 5 ore. Nel processo di primo grado Provolo era stato assolto. La sentenza di secondo grado è arrivata dopo oltre due mesi di udienze e a poco meno di un anno da quella di primo grado al Tribunale di Pescara. Il disastro risale al 18 gennaio 2017 quando, alle 16.49, una valanga travolse e distrusse il lussuoso resort alle pendici del versante pescarese del Gran Sasso, provocando la morte di 29 persone che si trovavano nell'hotel.

La decisione dei giudici della Corte d'Appello dell'Aquila è arrivata al termine della camera di consiglio durata quasi 5 ore.


Il collegio dei giudici presieduto da Aldo Manfredi dovrà decidere sui numerosi ricorsi presentati: primo fra tutti quello della procura di Pescara contro l'assoluzione per 25 dei 30 imputati. In primo grado furono condannati il sindaco di Farindola Ilario Lacchetta (due anni e otto mesi), i dirigenti della Provincia di Pescara Paolo D'Incecco e Mauro Di Blasio (tre anni e quattro mesi ciascuno), oltre a sei mesi ciascuno per l'ex gestore Bruno Di Tommaso e il geometra Giuseppe Gatto.

In quella occasione l'accusa di disastro colposo cadde per molti dei principali imputati, tra i quali l'ex Prefetto Francesco Provolo - per il quale il pool della procura, coordinato dal procuratore capo Giuseppe Bellelli e composto dai sostituti procuratori Anna Benigni e Andrea Papalia, aveva chiesto 12 anni - e l'ex presidente della Provincia di Pescara Antonio Di Marco, per il quale erano stati chiesti sei anni. Assolti anche tecnici e dirigenti regionali in uno scenario, secondo l'articolato impianto accusatorio, di diffuse responsabilità su vari fronti, dai permessi di costruzione dell'albergo alla gestione dell'emergenza di quei giorni drammatici sul fronte delle condizioni atmosferiche, dai soccorsi fino a una presunta vicenda di depistaggio in merito alla telefonata di Gabriele D'Angelo, dipendente dell'albergo e una delle vittime che aveva allertato la Prefettura sulla situazione di pericolo, fatta sparire.


C’è poi il tema della Carta Localizzazione Pericolo Valanghe (Clpv), mai attivata dalla Regione Abruzzo, tirata in ballo dai legali del sindaco di Farindola per dimostrare che in presenza di quella carta avrebbe avuto strumenti per effettuare interventi preventivi, nel mezzo una lunga serie di perizie che non hanno portato a un quadro di totale chiarezza. In Corte d'Appello, i due pm di Pescara, Anna Benigni e Andrea Papalia, hanno spiegato nei minimi dettagli le ragioni del loro ricorso, ribadendo in maniera approfondita le responsabilità degli imputati, sulla loro scia gli avvocati di parte civile, mentre la gran parte degli avvocati difensori ha attinto alle motivazioni della sentenza di primo grado e, in alcuni casi, ponendo dubbi perfino sulle legittimità dei ricorsi stessi.

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