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IL RICORDO

Quattro anni fa cominciava l'incubo Covid

Il ricordo di quei giorni, dalle vittime ai momenti di lockdown fino alla vaccinazione di massa

Quattro anni fa cominciava l'incubo Covid

Sembra un’eternità, ma sono trascorsi appena 4 anni da quel tragico febbraio del 2020. I primi morti legati al Covid, una pandemia che ha sconvolto il mondo intero per mesi e mesi.

Anni di tragedie, sofferenze, lockdown che si credeva potessero esistere solo nel film di fantascienza, e ancora campagne vaccinali, incubo e poi salvezza mascherine. Altro che disaster movie, quattro anni fa ci fu il grande spartiacque che ancora oggi ci fa dire pre Covid e post Covid. Uno snodo della storia come ce ne sono pochi all’interno di uno stesso secolo. E di sicuro nel nuovo millennio ce ne sono pochissimi (l’11 settembre 2001, la pandemia e poco altro).

Tutto cominciò in Cina con il virus misterioso prima negato e poi globalizzato. Arrivò in Europa ai primi giorni del 2020, e ancora si pensava che non avrebbe modificato le nostre vite. Poi i primi contagi in Italia a Codogno. La dichiarazione dello stato d’emergenza del 31 gennaio 2020. Quindi l’infezione in Veneto, nella vicina Vo. Le prime vittime, tra il 21 e il 22 febbraio del 2020. Poi la Zona rossa, il non sapere che fare, le delimitazioni, lo stop ai movimenti delle persone, divieti su divieti, contagi su contagi, paura e drammi, scuole chiuse, lezioni e lavoro a distanza. Fino al vaccino, la follia dei no vax, una ripresa stop&go che ci ha messo mesi per riportare l’umanità alla normalità.

I 4 anni che nessuno dimenticherà sono stati rievocati anche dal presidente della Regione Luca Zaia, che martedì scorso ha presentato il suo nuovo libro al teatro Ballarin di Lendinara. Quatto anni sono passati dallo scoppio della pandemia. Il 21 febbraio del 2020 la prima vittima italiana fu Adriano Trevisan, di Vo Euganeo. All’inizio si chiusero le scuole, poi le chiusure, il dramma dei morti a Bergamo. Lunedì 9 marzo un’altra data scolpita nella memoria nazionale. La gente ascolta l’allora premier Conte alla tv, da quel momento saranno dpcm all’ora di cena a scandire divieti e libertà limitate: “Si esce solo per le prime necessità”, “per fare la spesa o andare in farmacia”, con l’obbligo di guanti e mascherine, uno per nucleo familiare, assembramenti vietati ovunque. Per strada gli altoparlanti dei mezzi della protezione civile e delle forze dell’ordine che invitano a non uscire. E chi scorsa la caccia alle mascherine, che nelle prime settimane erano introvabili? Il continuo ricorso a gel per pulirsi le mani. Il primo slogan “Andrà tutto bene”. Non sarà così perché sofferenze e vittime si conteranno a decine di migliaia.

E ancora lo stop ad eventi, sport e manifestazioni, i locali chiusi, prima con il coprifuoco, poi in maniera totale. Le città spettrali, vuote, con le persone costrette a portare continuamente a spasso il cane per 15 minuti d’aria. Poi le prime riaperture, parziali, il cibo d’asporto, il distanziamento rimodulato di continuo, aperture e chiusure a fisarmonica. E poi i medici e gli infermieri eroi, costretti a turni massacranti per salvare vite. I drammi delle case di riposo. Fino alla massiccia campagna di vaccinazione, prima con scetticismo, poi con fiducia nonostante le assurde cassandre di chi profetizzò sventure smentite dalla realtà.

Ora tutto questo ci sembra distante, addirittura irreale, impossibile da ripetersi. Eppure è successo. E la lezione non può che essere di fare di tutto perché non succeda mai più.

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