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Il racket dei permessi di soggiorno

La maxi inchiesta svela l'inganno

Profughi "in nero" raccoglievano pomodori per un'azienda polesana

Un'inchiesta complessa e articolata ha portato alla luce, secondo la ricostruzione accusatoria, un sistema di sfruttamento e illegalità che ha coinvolto numerosi professionisti e immigrati nella città di Padova. Al centro di questa rete, un "abogado", ossia un avvocato che ha ottenuto il titolo in Spagna e che è in attesa della "equiparazione", prima della quale viene inserito nell'elenco degli "avvocati stabiliti", insieme ad altri tre italiani, due dei quali polesani, accusati di aver orchestrato un sistema per la produzione di falsi permessi di soggiorno. 

L'inchiesta, denominata "Ghost Company", ha, secondo l'impostazione dell'accusa, rivelato un'organizzazione ben strutturata che operava come una catena di montaggio per la produzione di permessi di soggiorno falsi

Quattro le persone che sono state rinviate a giudizio. La prima udienza del processo è stata fissata per il 12 novembre davanti al tribunale di Padova. Il giudice per l'udienza preliminare (gup) Claudio Marassi ha accolto la richiesta del pubblico ministero Benedetto Roberti, titolare dell'indagine, rinviando a giudizio i quattro imputati per associazione a delinquere finalizzata al falso ideologico e materiale, nonché per favoreggiamento aggravato della permanenza illegale nel territorio italiano di extracomunitari.

L'organizzazione, secondo quanto emerso dalle indagini, operava attraverso la creazione di falsi contratti di lavoro, necessari per ottenere i permessi di soggiorno. Questi contratti esistevano solo sulla carta, ma erano sufficienti per ingannare le autorità competenti. Un consulente del lavoro avrebbe messo a disposizione le proprie credenziali di accesso alle banche dati di vari enti pubblici per creare i falsi contratti di assunzione, registrandoli presso il Centro per l'impiego territoriale di competenza e comunicando all'Inps i contributi calcolati sui redditi fittizi. Un imprenditore, dal 2020 a oggi avrebbe perfezionato le pratiche relative ai permessi di soggiorno, recandosi personalmente negli Uffici immigrazione delle varie questure coinvolte (Padova, Rovigo, Venezia, Vicenza, Treviso, Ferrara, Parma, Ravenna e Rimini) e contribuendo alla formazione di documenti falsi.

Oltre settanta immigrati, quasi tutti nigeriani, salvo qualche cinese e un ghanese, sono stati rinviati a giudizio per concorso in falso. Per molti di loro, il permesso di soggiorno rappresenta uno strumento fondamentale non solo per vivere regolarmente in Italia, ma anche per ottenere un regolare contratto di lavoro. Tuttavia, i tempi di attesa per ottenere un permesso possono essere lunghissimi, fino a un anno e più, spingendo molti a cercare soluzioni alternative, anche illegali. Meno di una decina di altri stranieri imputati hanno scelto il rito alternativo del patteggiamento, concordando una pena di sei mesi con la sospensione condizionale. Altri hanno ottenuto la concessione della messa alla prova, che implica una serie di prestazioni gratuite a favore della collettività in cambio della definizione e chiusura del procedimento penale.


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