VOCE
economia
17.07.2024 - 09:00
Il settore tessile polesano è alle corde e quasi un lavoratore su due dell’intero comparto provinciale è in cassa integrazione, con il trattamento che di integrazione salariale, nel settore, in caso di sospensione o riduzione dell’orario di lavoro per difficoltà dell’impresa, è erogato dal Fondo di solidarietà bilaterale dell’artigianato, Fsba. E tutto questo sembra essere il frutto avvelenato di una stratificazione di controterzismo che porta le realtà attive in Polesine a dipendere completamente decisioni dei grandi marchi, che possono, voltando il pollice in alto o in basso, garantire lavoro altamente qualificato o creare precarietà e incertezza in un’intera filiera provinciale.
A sottolinearlo, con non poca preoccupazione, è la segreteria generale della Filctem Cgil di Rovigo, guidata da Federica Franceschi: “Più di 500 i lavoratori coinvolti delle circa 60 aziende che hanno richiesto il trattamento Fsba dall’inizio del 2024 - si spiega - pari a poco meno della metà degli occupati. Stiamo parlando del settore artigiano del tessile abbigliamento in Polesine, su cui stiamo registrando una richiesta costante di ammortizzatori sociali previsti per il livello dimensionale che mediamente coinvolge i lavoratori per almeno 2 mesi e ciò dall’inizio dell’anno: totali mesi richiesti complessivamente più di 120”.
Questo, sottolinea la Filctem “significa che le aziende richiedenti nell’arco dei primi 6 mesi e mezzo hanno utilizzato almeno due mesi di Fsba e non concentrando la richiesta nei periodi di calo stagionale e strutturale, ma in maniera costante e cautelativa, lamentando un’incertezza previsionale. Si oscilla da chi già all’inizio dei primi mesi dell’anno ha richiesto lo strumento per poi prorogarlo sino alla primavera, a chi ora si trova nella situazione di doverlo richiedere per raggiungere temporalmente le previsioni di settembre/ottobre, periodo in cui auspicabilmente si dovrebbero avere indicatori dell’andamento del settore e avere chiari i tempi di commesse e di ordinativi”.
La preoccupazione sui dati medi, si rimarca dal sindacato, “non è rilevante”, tuttavia “diventa invece un elemento da monitorale la ripetitività delle domande mensili di proroga e il presumibile aumento delle ore effettivamente richieste di Fsba: sarà chiaramente necessario effettuare una valutazione a consuntivo dell’anno in corso con l’utilizzo del D34 Ebav (l’ente bilaterale dell’artigianato del Veneto), nuovo modulo di invio richiesta di contributo per la quale i lavoratori hanno tempo 6 mesi dall’inizio della sospensione, per un raffronto effettivo sulla quantità di ore in Fsba, ma l’incremento delle richieste di consultazione è un dato oggettivo”.
E questo porta la Filctem “a presupporre che, a differenza degli anni passati, dove le piccole aziende hanno da sempre utilizzato anche le ferie, i permessi e le eventuali banche ore dei dipendenti in maniera organizzata e per lo più condivisa con il personale, quale strumento di flessibilità e arrivando alla richiesta di Fsba solo per i periodi strettamente legati a particolari flessioni, oggi è evidente che, esauriti gli istituti contrattuali, l’unico strumento che consenta una continuità aziendale e produttiva è l’ammortizzatore sociale”. La Fsba, o cassa integrazione.
“La preoccupazione, pertanto - nota la Cgil - non riguarda solo la tenuta del sistema di gestione dei fondi salariali, ma la stessa tenuta produttiva delle singole realtà da cui riceviamo input di un cambiamento non più occasionale ma pressoché strutturale del modo con cui il mercato e il settore del tessile chiede alle aziende di fare impresa: non vi è più né continuità né tanto meno stagionalità, esiste un sistema ‘a chiamata’ anche per le imprese che, pertanto, hanno tempi brevi di reazione e di produzione. Ciò chiaramente produrrà sempre più una richiesta di flessibilità che o verrà governata con un sistema di ammortizzatori in grado di far fronte a tale modalità o si rischia che un sistema produttivo fatto di professionalità ed esperienze da conservare, consolidare e trasmettere finisca nell’alveo dei settori stagionali o peggio ancora precarizzato per tempi e durata. Tale scenario cozza in maniera evidente con la richiesta di professionalità che le aziende nelle fasi produttive di picco richiedono. Una questione cui dar risposte e creare azioni progettuali finalizzate alla gestione di un mercato che non è più soggetto alla stagionalità, ma a una discontinuità e imprevedibilità produttiva”.
A tal proposito, si aggiunge “è decisivo il confronto con chi rappresenta il sistema imprenditoriale, sia dell’artigianato, sia dell’industria, per comprendere quali siano le dinamiche di mercato e quali siano, non solo i segnali, ma le reali previsioni di un settore che, valutando i mercati destinatari dei prodotti del nostro manifatturiero polesano, dipende economicamente e produttivamente dalle decisioni dei grandi marchi. Si rischia di creare precarietà e incertezza in un sistema produttivo a prevalente occupazione femminile che già nel corso dei decenni passati ha vissuto crisi tali da portare alla chiusura e alla cessazione di attività imprenditoriali, indebolendo il tessuto produttivo e le opportunità di occupazione del territorio. Ad aumentare questo clima di generale incertezza, si aggiunge poi l’interruzione a livello nazionale delle trattative tra sindacati e rappresentanze datoriali per il rinnovo del contratto collettivo nazionale di settore, che durano ormai da ben 16 mesi senza aver prodotto alcun risultato e che ad oggi risultano interrotte per indisponibilità delle associazioni nazionali datoriali a riconoscere il valore delle professionalità in termini di salario”.
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