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sicurezza idrogeologica

Tutti sotto con un evento estremo

Ispra: “In Polesine a rischio alluvione il 99% del territorio nello scenario a più bassa probabilità”

Tutti sotto con un evento estremo

Tre scenari di rischio idrogeologico legati alla probabilità: alta, media e bassa. E, proprio il terzo di questi tre scenari, non è particolarmente rassicurante: il Polesine rischia di vedere il 99,1% della propria superficie e la stessa esatta percentuale di residenti finire sott’acqua. Il valore più alto dopo quello di Ferrara, che arriva al 100%. Percentuale che però sale al 99,2% se si considera il numero di famiglie, al 99,3% se si considerano le sedi di impresa e al 99,6% se si guardano invece i beni culturali.

E’ quello che emerge dai dati della “mosaicatura” realizzata da Ispra, l’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale con la quale viene definita l’estensione delle aree allagabili sull’intero territorio nazionale per ciascuno degli scenari di probabilità previsti dall’articolo 6 della Direttiva 2007/60/Ce relativa alla valutazione e alla gestione dei rischi di alluvioni, detta appunto “Direttiva Alluvioni”: elevata probabilità di alluvioni, media probabilità di alluvioni e bassa probabilità di alluvioni. A tali scenari corrispondono le aree allagabili nel caso di eventi alluvionali con un tempo di ritorno, ovvero l’arco temporale nel quale se ne possono verificare due analoghi, compresi rispettivamente fra 20 e 50 anni, fra 100 e 200 anni e superiori ai 200 anni.

Il rischio che vada sotto tutto il Polesine, quindi, non è previsto come concreto, anche per l’attenta opera di sorveglianza nel tempo. Però va anche detto che in questi giorni le zone a pochi chilometri da qui dell’Emilia Romagna sono state travolte da nuove alluvioni, con un tempo di ripetizione che dovrebbe essere quasi secolare e invece ormai si conta in mesi. Comunque, lo scenario di bassa probabilità al momento sembra andare oltre le più nere previsioni, un quadro mai verificato negli ultimi secoli, nemmeno con la drammatica alluvione del novembre 1951.

Certo, visto quello che sta accadendo, bisogna essere pronti a tutto, ma la prospettiva si ribalta completamente se si va a guardare, invece, lo “scenario di elevata probabilità”. In questo caso, infatti, la superficie a rischio del Polesine si riduce all’11,8%, quasi il doppio della media nazionale, pari al 5,4%, ma non fra i più elevati delle aree rivierasche. Ma, soprattutto, se si va a guardare nel dettaglio quale sia la superficie che potrebbe finire sott'acqua, si tratta sostanzialmente di aree non abitate, proprio in considerazione della loro natura. Tanto che, a fronte di un 11,8% di superficie interessata, la quota di popolazione colpita sarebbe solo l’1,6%, un dato fra i più bassi d’Italia, con la media nazionale che è infatti pari al 4,1%.

Anche il numero di edifici che verrebbe coinvolto da alluvione nello scenario a maggiore probabilità è più o meno analogo, l’1,7% del totale, a fronte di una media nazionale del 4,3%. Per lo scenario intermedio, invece, con tempo di ritorno tra 100 e 200 anni, la stima è di allagamenti nel 16,9% del territorio con interessamento del 3,3% della popolazione, a fronte di un medie nazionali pari rispettivamente al 10% ed all’11,5%. Non solo, ma tutto questo a fronte di un rischio frane che in Polesine è zero per tutti gli scenari.

Secondo uno studio dell’Autorità distrettuale di bacino del fiume Po, Adbpo, fra l’altro, oltre il 16% degli argini del Po rimane a rischio idraulico e che, nel Delta, si tocca addirittura il 50%. Si tratta del risultato di uno studio realizzato nel 2018 in collaborazione con Aipo, con il rischio idraulico calcato misurando la distanza fra la sommità arginale e la piena simulata secondo il piano “Simpo”, Sistemazione Idraulica della Media Padana Orientale, la cui prima versione risale al 1963 e che è stato poi costantemente aggiornato. Nel Delta, e in particolare nel Po di Goro, molte delle arginature hanno addirittura una distanza inferiore ai 30 centimetri rispetto alla piena ipotetica. A fronte di tutto ciò, l'Adbpo spiega di aver redatto “un progetto mirato, ora aggiornato, indicando tutte le aree a rischio idraulico, con franco arginale inadeguato, mostrandone, al contempo, il livello potenziale di fragilità. Lo studio progettuale, che vede 16% delle arginature del Grande Fiume a potenziale rischio, indica le principali zone su cui intervenire nei comprensori di Pavia, Piacenza, Mantova, Ferrara e Rovigo per un valore stimato di circa 550 milioni di euro”.

Nel dettaglio, 23 milioni sono indicati come spesa per gli interventi nel tratto piemontese, 256 milioni per il tratto dalla confluenza con il Tanaro fino al Po di Goro, ovvero quello centrale, e la cifra più alta, ben 276 milioni, per i rami del fiume nel Delta. Soldi che al momento non sono interamente stanziati e si procede per stralci, insieme alla manutenzione ordinaria e straordinaria.

Proprio ieri il presidente della Regione Luca Zaia, insieme all’assessore all’ambiente e dissesto idrogeologico Gianpaolo Bottacin hanno fatto il punto della situazione rispetto allo stato di attuazione per la messa in sicurezza delle infrastrutture idrauliche: “Fermo restando che dal 2010 abbiamo realizzato oltre 2 miliardi e 100 milioni di euro di opere con oltre 3.000 cantieri – ha detto il Governatore - la sfida ora per il Veneto sono i 5.000 chilometri di argini che abbiamo da diaframmare e mettere in sicurezza perché sono messi a rischio dagli animali selvatici, come tassi e nutrie, che hanno reso gli argini dei gruviera. Bisogna prendere coscienza che la sfida non è più far fronte al sormonto arginale dell’acqua in caso di piena, che si può risolvere con i bacini di laminazione, ma lo sfondamento arginale. Ricordo che nel 2010 ci furono ben 32 argini sfondati. Abbiamo sistemato 50 km di argini e abbiamo progetti per 180 milioni di euro per altri 80 km. Non dobbiamo mettere a repentaglio la vita dei cittadini per salvaguardare la fauna”.

Zaia ha poi aggiunto: “Abbiamo realizzato 10 bacini di laminazione sui 23 previsti, 10 bacini che possono contenere 210 milioni di metri cubi d’acqua, che diventeranno 210 milioni di metri cubi con il completamento dei bacini che mancano. Sono numeri che ci dicono che abbiamo lavorato bene ma non basta farci dormire sonni tranquilli. Adesso, ribadisco, la sfida è mettere in sicurezza gli argini e servono strumenti per poterlo fare dato che stiamo parlando di 5.000 chilometri di argini di competenza della Regione più altri 3.000 dei Geni Civili, che, insieme ai dirigenti e tecnici regionali, ringrazio per il lavoro e la continua collaborazione per garantire la sicurezza del nostro territorio”.

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