VOCE
aria
03.01.2025 - 08:26
La grandezza del pm10 rispetto alla cellula del sangue, al pm2,5 e al Coronavirus
Pm10 due volte oltre il limite. Lo pneumologo Casoni: “Correlazione con gli accessi al pronto soccorso”
ROVIGO - L’anno si è aperto per Rovigo con una concentrazione giornaliera di Pm10 pari a 99 microgrammi per metro cubo di aria. Praticamente il doppio della soglia fissata a 50 microgrammi a tutela della salute umana. Il 2025 si è aperto con le polveri fini ben oltre i limiti anche a Borsea, con 77 microgrammi, a Badia con 86, e anche ad Adria, che solitamente ha valori più bassi perché risente del “polmone” marino ma che ha raggiunto una concentrazione di Pm10 di 72 microgrammi.
Ma anche il 2024 non è stato un anno felice per l’aria adriese, visto che a dispetto del recente passato i superamenti del valore soglia giornaliero sono stati 38 rispetto al limite fissato dalla normativa a 35. Tuttavia, decisamente meglio rispetto ai 57 giorni di aria “fuorilegge” di Rovigo, che già a marzo aveva superato i 35 giorni di sforamento e che ha batuto anche Badia, fermatasi a 56, e Borsea che è arrivata a 53.
E se Rovigo resta in “allerta arancione”, per il numero di sforamenti consecutivi, con le limitazioni previste per la circolazione e per i riscaldamenti dall’ordinanza antinquinamento si può notare che nell’anno appena concluso c’è stato un peggioramento rispetto al 2023, quando complessivamente, giorni di aria “fuorilegge” nel a Rovigo città erano stati 55, il dato più alto del Polesine, 49 a Borsea e 54 a Badia Polesine.
Adria, invece, era risultata entro i limiti, con 26 sforamenti. Nel 2022 a Rovigo era andata anche peggio, con 65 sforamenti sia in centro che a Borsea, ma anche a Badia, con 62 sforamenti. Anche in questo caso Adria si era “salvata” con 28 sforamenti. Tendenzialmente meglio, invece, era andata nel 2021, con 53 sforamenti in città, mentre il 2020, anno del lockdown, in modo controintuitivo era stato un “anno nero” con ben 83 sforamenti. Decisamente male era andata anche anche nel 2017 con 80 sforamenti annui, mentre nel 2019 erano stati 69, nel 2018 48, nel 2016 45 e nel 2015 75. Dati altalenanti, ma sempre in negativo, tanto che Rovigo si piazza purtroppo sempre nella parte alta della classifica delle aree con le peggiori arie di tutta Italia e anche d’Europa.
E proprio l’Europa ha messo mano ai limiti, abbassandoli ulteriormente e inserendo anche il Pm2,5, ovvero il particolato ancora più fine fra le sostanze da monitorare con maggiore attenzione. Questo perché, secondo quanto confermato da un documento dell’Agenzia europea dell’ambiente pubblicato lo scorso 10 dicembre, poco meno di 240.000 decessi all’anno nell’Unione europea possono essere attribuiti all’esposizione al particolato fine. E, “Per il Pm2,5 i numeri più elevati di decessi attribuibili nel 2022 si sono verificati in Italia, Polonia e Germania (in ordine decrescente)”.
Il Pm2,5 sono le polveri finissime, con dimensioni inferiori ai 2,5 micrometri, chiamato anche frazione respirabile, in quanto queste particelle più piccole possono invece arrivare in profondità nei polmoni. Ecco, a Rovigo, unica centralina del Polesine con la registrazione in continuo del Pm2,5, la media annuale nel 2023 è stata pari a 23 microgrammi, appena al di sotto del limite di legge dei 25 microgrammi, ma quasi il quadruplo del valore indicato dalle linee guida Oms, 5 microgrammi, e oltre il doppio del valore indicato dalla Commissione europea per il 2030, 10 microgrammi. Sempre a tutela della nostra salute.
Che l’inquinamento abbia conseguenze dirette sulla salute di chi è esposto, purtroppo, ha una sua evidenza empirica. E lo conferma il dottor Gian Luca Casoni, primario di Pneumologia di Rovigo, specializzato proprio in Malattie dell’apparato respiratorio: “Sicuramente - spiega - l’inquinamento atmosferico è un problema che si fa sentire maggiormente nella pianura padana e nel Polesine anche le condizioni atmosferiche incrementano questo rischio permettendo il concentrarsi di sostanze come il biossido di azoto, il monossido di carbonio e come i particolati. C’è una diretta correlazione con gli accessi al pronto soccorso per asma, bronchiti e polmoniti, che aumentano in particolare nei periodi con maggiore umidità, nebbia e poco ricambio d’aria. L’inquinamento riduce le difese bronchiali e favorisce i virus. Inoltre, anche le polmoniti o il riacutizzarsi di broncopneumopatie croniche sono spesso provocate da infezioni favorite dall’inquinamento atmosferico. In particolare, il particolato: il Pm10 arriva nei bronchi, mentre il Pm2,5 arriva direttamente negli alveoli polmonari. E si tratta di sostanze esterne che possono causare infezioni. Purtroppo, è un dato scientificamente dimostrato che una lunga persistenza in ambienti con molto inquinamento può favorire anche patologie gravi come il tumore al polmone”.
L’inquinamento, come è noto, deriva da fattori antropici e da fattori geomorfologici, perché la conformazione della pianura padana non favorisce la dispersione degli inquinanti presenti nell’aria. “Le principali fonti che favoriscono l’inquinamento atmosferico – ribadisce il primario - sono il traffico veicolare e i sistemi di riscaldamento. Si tratta del cosiddetto inquinamento outdoor, che è dimostrato favorire patologie respiratorie, dalla tosse cronica all’asma, fino alle polmoniti, soprattutto nella popolazione fragile, ovvero neonati, bambini e anziani. Non va trascurato, per, che c’è anche un inquinamento indoor, che è quello degli ambienti chiusi, prodotto dagli acari ma anche dal fumo di sigaretta, perché purtroppo abbiamo ancora moltissimi fumatori e molti che continuano a farlo in casa. I due tipi di inquinamento si sommano fra loro”.
Come difendersi? “Non potendo cambiare le caratteristiche dell’atmosfera - precisa casoni - una delle protezioni può essere quella di limitare le uscite nei giorni di particolare inquinamento e stagnazione dell’aria. E, per esempio, non far star fuori i bambini nelle giornate molto nebbiose”.
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