VOCE
crisi berco
10.01.2025 - 06:00
I lavoratori della Berco non possono che incrociare le dita dopo la presentazione del piano industriale di ieri. Ma la giornata di ieri sembra essersi tradotta in una fumata grigia (di un grigio scuro) per quel che riguarda il futuro di centinaia di dipendenti della fabbrica di Copparo (Ferrara) che ha più volte ribadito la necessità di ridurre di 400 unità i profili occupazionali.
E siccome sono solo 115 gli operai che hanno aderito alla proposta aziendale di dimissioni, con incentivo di 57mila euro, ecco che ci sono circa 300 posti (285 per la precisione) di lavoro in bilico e su cosa succederà a questi quasi 300 posti ieri l’azienda non ha fatto chiarezza. Ecco perché restano ad alto livello angoscia e preoccupazione fra gli oltre mille lavoratori Berco, 140 circa sono polesani. Lo scadere del termine per le dimissioni volontarie era stato fissato per il 16 gennaio. Il timore, quindi, è che dopo quella data possa ripartire una procedura di licenziamento.
Dopo la presentazione, di ieri alla fabbrica di Copparo, del piano industriale ai sindacati le segreterie nazionali di Cgil, Cisl e Uil hanno diramato un comunicato dove hanno spiegato di aver avanzato l’ipotesi che “nonostante la scadenza del prossimo 16 gennaio per la definizione del percorso dei licenziamenti su base volontaria, ci sia il tempo di ricercare, anche con il Governo, tutte le soluzioni utili a far fronte ad un piano industriale che oltre ai propositi ha bisogno di una forte struttura economica a cui l'azienda, da sola, non riesce a far fronte”.
Per i sindacati “è necessario che l'azienda si apra a percorsi di partenariato, che sia pubblico o privato, per poter affrontare il piano presentato e che quanto si voglia realizzare non gravi sui lavoratori con ulteriori procedure di licenziamento. Abbiamo chiesto al Mimit di riconvocare quanto prima il tavolo di confronto già avviato per ricercare le migliori soluzioni alla vertenza, precisando fin da subito che non accetteremo intese che prevedano, alla loro conclusione, il licenziamento di lavoratori e la messa in discussione della continuità e della contrattazione aziendale”.
Insomma sindacati e lavoratori non sono disposti ad accettare tagli al personale e per questo hanno chiesto aiuto al governo, considerando che l’azienda, da sola, non riuscirebbe ad attuare il piano industriale”.
L’azienda nel presentare il piano industriale 2025-2027 ha annunciato una serie di investimenti sia impiantistici che di innovazione di ciclo produttivo e di prodotto, “strutturando anche una nuova organizzazione della linea dei fornitori, della propria organizzazione interna e specificando le aree su cui sarà possibile aggredire il mercato nel prossimo futuro soprattutto nell’after-market.
Cgil, Cisl e Uil hanno aggiunto che “il piano per noi, così come prospettato, resta parziale perché mancante di dettagli di sostenibilità economica di cui abbiamo chiesto di avere maggiori informazioni. Resta ferma una criticità su cui l’azienda ha ancora sciolto nessuna riserva: il raggiungimento degli obiettivi di riorganizzazione del personale con le 400 uscite previste nell'intesa ministeriale. Abbiamo ribadito la necessità di continuare il confronto in maniera sinergica, evitando decisioni unilaterali per il raggiungimento degli obiettivi”.
La crisi Berco, del gruppo Thyssenkrupp, che produce componenti e sistemi cingolati per macchine movimento terra, preoccupa anche i Comuni polesani dove risiedono 140 degli operai che lavorano a Copparo. Il comune con più dipendenti è Polesella, con 35, seguono Rovigo con 25 e Occhiobello con 23, una decina quelli di Adria.
Ieri dopo la presentazione del piano industriale è intervenuta Nadia Romeo, onorevole polesana del Pd: “Non è sufficiente parlare genericamente di investimenti e di scelte di mercato, quando c'è in ballo il futuro di centinaia di lavoratori e, quindi, centinaia di famiglie. Nell’affrontare la crisi Berco riteniamo che due siano le priorità fondamentali: la prima è che il gruppo resti su un territorio che ha dato tanto a questa azienda, allontanando quindi ogni possibilità di smobilitazione e delocalizzazione. La seconda è che l'unica alternativa per quei circa 300 lavoratori che non aderiranno all'esodo volontario non sia il licenziamento”.
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