VOCE
clima
20.01.2025 - 08:30
Guardando solo al mese di dicembre appena concluso, “la temperatura media di dicembre 2024, sul Veneto, vale mediamente +3.4°C risultando superiore di 1°C rispetto alla norma trentennale 1991-2020 ma in linea con i valori dell’ultimo decennio. Non vi sono effetti sul trend trentennale. A livello spaziale l’anomalia mostra gli scarti più elevati in montagna, specie in quota dove raggiungono differenze anche oltre i 2°C circa, mentre su gran parte della pianura i valori termici medi risultano in linea o lievemente superiori alla norma”. Invece, “le temperature massime risultano in media sulla regione superiori alla norma di +1.7 C, con anomalia distribuita abbastanza uniformemente sulla regione e in genere compresa tra +1°C e +2°C probabilmente a causa della scarsa presenza di giornate nebbiose o con nubi basse in pianura. Il trend generale della serie storica relativa alla media delle temperature massime del mese risulta in crescita e pari a +0.73 C per decennio”.
A dicembre ci sono stati anche dei giorni “primaverili”. I record di temperatura giornaliera battuti durante il mese, spiega Arpav, “si collocano tutti alla fine del mese, in occasione dell’espansione da ovest di un promontorio di alta pressione con aria relativamente mite in quota e marcata inversione termica in pianura e nelle valli”. Il 28 e 29 dicembre, in particolari, sono stati superati alcuni record sia per le temperature minime che massime e medie. In particolare le minime registrano nuovi record tra Euganei e Prealpi vicentine, con +9.7 °C a Recoaro Mille, 1073 metri di quota, mentre le massime risultano molto elevate, da record sulla pianura orientale e con il +17 °C a Vazzola-Tezze.
Il Polesine, un po’ inconsuetamente, si guadagna la palma dell’area nella quale a dicembre è piovuto di più: le massime precipitazioni del periodo sono state registrate alle stazione del porto di Pila, a Porto Tolle, con 136 millimetri, Brogliano e Marostica nel Vicentino, entrambe con 105 millimetri e a Pradon di Porto Tolle con 104 millimetri. “Sulla pianura alcune zone, in particolare quelle meridionali, risultano in surplus di precipitazione fino a quasi il doppio rispetto alla norma”, nota Arpav, notando che invece “il mese di dicembre 2024 risulta un po’ più asciutto della norma con un quantitativo medio sulla regione di 59 millimetri corrispondente ad un deficit medio del 30% rispetto alla norma del periodo 1991-2020”.
Un trend di piovosità che non è solito per il Polesine ma che va avanti da tempo, tanto che se si considera il periodo ottobre dicembre, fra le stazioni con minore piovosità cumulata non ci sono, come solitamente avviene, quelle polesane, bensì Lison di Portogruaro con 216 millimetri, Comelico Superiore con 221 millimetri, Alleghe con 224 e Cima Canale di Visdende a Santo Stefano di Cadore con 228, tutti nel Bellunese. “Sulle Dolomiti in quota la quantità di neve fresca caduta è stata inferiore alla media così come lo spessore medio della neve al suolo a causa delle temperature miti che hanno favorito la fusione e dei forti venti che hanno accelerato la sublimazione dello strato superficiale”, nota Arpav. E la Fondazione Cima, nota come al 10 gennaio il Po e l’Adige registrino entrambi un deficit idrico del 61% di neve, misurato in termini di equivalente idrico nivale. “Nel cuore delle Alpi, dicembre ha registrato ancora una scarsa quantità di neve, con i principali bacini fluviali, come il Po e l’Adige, significativamente sotto la media. In particolare, entrambi i bacini hanno accumulato circa un terzo della neve attesa entro i primi di gennaio, con un incremento lento e insufficiente rispetto agli anni passati”.
Questo significa che potrebbe tornare ad aleggiare lo spettro della siccità: “L’importanza delle Alpi come ‘serbatoi d’acqua naturale’ per l’Italia non può essere sottovalutata. Contributi idrici ridotti dai bacini alpini influenzano direttamente la disponibilità d’acqua per uso agricolo, civile e industriale, specialmente nei mesi primaverili ed estivi. I dati storici dimostrano che un inverno povero di neve si traduce spesso in una ridotta portata dei fiumi durante i mesi estivi, aumentando il rischio di siccità”.
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