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dopo il rogo

“Si riparte da qui, senza indugiare”

Parla Mauro Regnoli, proprietario dell’azienda ittica distrutta. “A regime in 15-20 giorni”

“Si riparte da qui, senza indugiare”

Ad Ariano nel Polesine lo chiamano “il guerriero”. “Non ci ha lasciato senza stipendio nemmeno durante il Covid”, dicono i suoi dipendenti, pronti a rimboccarsi le maniche insieme a lui. Mauro Regnoli, amministratore delegato della Medusa Regnoli azienda da 60 milioni di fatturato, andata in fiamme ad Ariano nel Polesine, conferma con una frase che la sua fama lo precede: “Si sono salvati due locali, si riparte da qui, fatta salva l’agibilità. Non c’è tempo da perdere, siamo molto determinati”.

Dottor Regnoli, come avete vissuto in questi giorni di vero e proprio inferno?

“E’ stato traumatizzante, ma noi siamo una proprietà familiare da 160 anni sul mercato e faremo una gara contro il tempo per ricominciare. Potrà volerci una settimana per cominciare le lavorazioni in forma ridotta. Stiamo cercando, fatta salva l’agibilità che dipende dai vigili del fuoco, di recuperare i due locali che si sono salvati pari a 2.500 metri quadrati su 13mila totali. Potremo ripartire con le fasi più specialistiche del nostro lavoro, mentre quelle meno specialistiche le potremo effettuare trovando soluzioni all’esterno. La preparazione del pesce vogliamo farla qui, è la nostra expertice, il nostro know how. Stiamo cercando di individuare dei locali per andare di nuovo a regime, in 15-20 giorni. Se fosse così sarebbe una vittoria enorme considerato che lo stabilimento è distrutto”.

E’ chiara la causa che ha innescato l’incendio?

“Purtroppo un operaio esterno all’azienda era intento a lavorare su una porta. Durante le operazioni di saldatura qualcosa è andato storto e il fuoco una volta che ha intaccato i pannelli in poliuretano non era più domabile. Voglio sottolineare che il piano di evacuazione provato più volte ha funzionato come un orologio svizzero. Il piano di evacuazione provato più volte con la presenza del Responsabile del servizio prevenzione e protezione ha funzionato come un orologio svizzero. Nessuno si è fatto male e questa per noi è la cosa più importante. Devo ringraziare i vigili del fuoco che hanno lavorato giorno e notte, sono davvero riconoscente per il lavoro che hanno svolto e stanno svolgendo in questi giorni. Ci sono ancora piccoli focolai”.

Si parla di danni ingentissimi, a quanto ammontano? Siete assicurati?

“Si stimano intorno ai 30 milioni di danni. Abbiamo una copertura assicurativa e dunque sotto questo profilo non ci sono problemi. L’unico problema al momento per noi è mantenere il filo con la nostra clientela, mantenere i volumi. Stavamo andando molto bene, eravamo in crescita. Per questo mi auguro di ripartire a breve”.

C’è anche export nella vostra produzione di lavorati del pesce?

“Noi esportiamo un terzo della produzione. E in questi giorni abbiamo avuto attestazioni di solidarietà da parte di tutti. Anche della clientela. Serviamo catene importanti della grande distribuzione e tutti sono stati molto solleciti a esprimere la loro solidarietà. Ci stanno aspettando”.

Fuori dallo stabilimento è comparsa la scritta “sei il nostro guerriero”... 300 lavoratori sono con lei.

“Ma ce l’avevano con me (sorride)? Qui lavorano 220 persone e poi c’è l’indotto dei trasportatori, dei servizi che gravitano sull’azienda. Voglio dire quello che ho detto loro quando sono venuti a svuotare i loro armadietti e a dare la loro presenza nei giorni scorsi. Lavorare in questo territorio è molto difficile. E’ difficile fare l’imprenditore nel Basso Polesine. Una terra rurale, che non ha alcun supporto. Qui c’è campagna, da agosto a ottobre abbiamo avuto 16 interruzioni di corrente e sono saltate le schede elettriche, per fare un esempio. Spesso non ci sono aziende in grado di fornirci i materiali tecnici. Qui ci sono le paludi e fare industria è estremamente difficile. Per non parlare delle infrastrutture. La tentazione di spostare tutto a Bologna c’è stata negli anni. Noi facciamo i pendolari ogni giorno. Ma un’impresa non è fatta solo di mura e macchina, ma di persone e a queste persone, al di là della responsabilità sociale dell’impresa, noi teniamo. Abbiamo costruito dei legami sia professionali che relazionali, umane. Se ci saranno le condizioni ricostruiremo ad Ariano, altrimenti non ci allontaneremo troppo per far sì che i lavoratori non si ritrovino senza lavoro. Non parlo di sentimenti perché non vorrei scadere nel libro Cuore, ma di etica”.

Ha avuto la solidarietà dell’assessore regionale Corazzari, e di tutto il mondo della politica e amministrativo. A loro cosa chiede?

“Ci aspettiamo da parte della Regione, della Provincia e del Comune che non si perdano nei meandri della burocrazia, perché la pubblica amministrazione spesso ha dei tempi e dei concetti che sono ostacoli all’impresa. Abbiamo una storia di rispetto delle autorità e delle leggi. Chiediamo tempi celeri e di non perdersi nel nulla”.

Regnoli, è sorprendente il suo ottimismo, contagioso. Un’ultima curiosità che le sembrerà banale. Lei fa il pendolare ogni giorno da Bologna ad Ariano?

“L’ho fatto per 40 anni, ma da qualche anno, ho ceduto e ho preso un pied-à-terre ad Adria. Per dare il buon esempio in azienda ai ritardatari. Mio figlio Giorgio fa ancora il pendolare. Se sono ottimista... davanti a un disastro del genere non pensavo di trovare tanta forza. Ma se ci pensa, nessuno si è fatto male. Se fosse successo qualcosa a qualcuno dei miei dipendenti sarei stato con sensi di colpa. Occasioni di farsi male grigliando, friggendo e cuocendo e con impianti elettrici per chilometri ce ne sono. Se fosse successo qualcosa a loro, non avrei superato facilmente la cosa. Invece tutto è andato nel rispetto della prevenzione. E questo è un grande sollievo per me”.

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