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Un no che vuol dire libertà

Concluso il progetto scolastico sugli internati militari

Un no che vuol dire libertà

ROVIGO - “Ho detto no, perché no era soldato e sì voleva dire merce”. Se c’è una frase che può riassumere, meglio di qualsiasi altra, che cosa abbia significato essere stato un internato militare catturato, rastrellato e deportato in Germania dalle autorità tedesche nei giorni successivi alla proclamazione dell'armistizio, l'8 settembre 1943, è proprio questa. Parole emblematiche che lunedì mattina, hanno risuonato con forza in un auditorium Tamburini gremito di persone. Sì, perché, in occasione del Giorno della memoria, nell’auditorium del Conservatorio Venezze si è tenuto l’evento “Costruire memoria. Gli internati militari della Provincia di Rovigo” a conclusione del progetto durato due anni che ha coinvolto gli studenti dei licei scientifico Paleocapa e artistico Roccati con, appunto, il conservatorio e, soprattutto, il gruppo dei familiari degli Imi, formato da circa 40 famiglie, che da pochi giorni è stato riconosciuto come sezione provinciale di Rovigo Anei.

Tanti sono stati i momenti di grande impatto emotivo durante l’evento che ha unito musica, progetti grafici e racconti tratti dalle lettere di alcuni internati polesani inviate ai parenti durante la prigionia. Ma di certo, il momento più commovente è stata la consegna di una targa all’ex internato Dino Rava, 102 anni, autiere catturato a Trento il 9 settembre alla vigilia dei 20 anni, e deportato in prigionia nello Stammlager XIII di Norimberga, in Germania, fino al giugno 1945. Rava ha ricevuto il riconoscimento dal presidente dell'Associazione nazionale autieri d'Italia, il tenente generale Gerardo Restaino. L’iniziativa all’auditorium è stata preceduta e accompagnata da una mostra al liceo scientifico formata da 15 pannelli espositivi allestita con materiale donato dai familiari. In auditorium, sono stati inoltre proiettati alcuni cortometraggi elaborati dagli studenti mentre il conservatorio ha accompagnato il tutto con le musiche di studenti e docenti. Il repertorio di riferimento è stato quello della “musica perseguitata”, da sei anni al centro di un dottorato di ricerca, unico in Italia.

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