VOCE
IL CASO
11.02.2025 - 21:31
“Quei ragazzi vanno ascoltati, non criminalizzati”. E’ una voce fuori dal coro delle reazioni al raid col peperoncino avvenuto lunedì mattina all'Ipsia, quella di Enrico Galiano, insegnante alle scuole medie, scrittore, habitué di Rovigoracconta dove, ogni volta che viene invitato, riempie piazza e platea. Il suo osservatorio sulla realtà giovanile è privilegiato e la sua posizione su quanto accade tra i banchi parte da un presupposto: “E’ sempre sbagliato partire da un singolo episodio per definire un’intera collettività. Il malessere dei ragazzi, innegabile, va ascoltato e prevenuto”.
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“Bisogna fare luce su cosa è successo esattamente, indagare sulle motivazioni e capire anche qual è il background del ragazzo protagonista di questo episodio, altrimenti il rischio di scadere sui soliti luoghi comuni è davvero forte”.
E’ innegabile, però, che episodi simili nelle scuole siano ormai all’ordine del giorno.
“Quello che posso dire è che dalla pandemia in poi esiste un malessere diffuso tra gli adolescenti, che il mondo degli adulti non sa cogliere. Noi grandi non siamo preparati ad ascoltare: abbiamo semplicemente deciso di far tornare il mondo a com’era prima del Covid facendo finta che non sia successo nulla. Ma per i ragazzi che hanno vissuto anni cruciali della crescita a cavallo del 2020 non può essere così”.
Quanto accaduto non la preoccupa?
“Più che altro, non mi stupisce. E’ in atto un’estremizzazione di certi fenomeni unita a una precocizzazione degli stessi: problemi come le dipendenze, i disturbi alimentari e gli attacchi di panico che fino a qualche tempo fa si osservavano nei ragazzi del biennio delle scuole superiori, oggi riguardano i ragazzi delle medie. E questo sicuramente è un indicatore che va tenuto in considerazione, e che a mio avviso è collegato a quanto successo durante la pandemia. I nostri giovani ci stanno dicendo che stanno male, e noi non li stiamo ascoltando”.
Dopo gli spari a scuola dell’ottobre 2022 la risposta delle istituzioni è stata quella di agire sul voto in condotta. Si può dire che la deterrenza non abbia funzionato?
“Anche in quell’occasione la mia è stata una voce fuori dal coro: sono convinto che non si possa commentare se non si conosce il contesto in cui certi episodi avvengono. Per il resto posso solo dire che resto convinto che prevenire sia meglio che curare: esperienze come quello dello psicologo in classe, ma anche i corsi di teatro che riescono a veicolare le emozioni negative trasformandole in movimento valgono più di cento progetti antibullismo o di cento laboratori, perché coinvolgono i ragazzi in maniera attiva e fanno capire loro che li stiamo prendendo sul serio”.
In questo contesto, che ruolo hanno i social network?
“Purtroppo hanno banalizzato gli argomenti, facendo sentire certe persone in diritto di parlare di cose che non conoscono”.
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