VOCE
OSPEDALI
17.02.2025 - 07:03
Cristiano Maria Pavarin
“Non siamo più disposti ad accettare tutto questo”. Il giorno dopo l’ennesima aggressione a un operatore sanitario, gli schiaffi rimediati da un’infermiera del pronto soccorso di Adria da una paziente che stava assistendo, la Uil Fpl, con il segretario generale Cristiano Pavarin, alza la voce. E racconta un quadro fatto di “schiaffi, minacce, offese, spintoni, botte. Tutte cose che sono lontane anni luce da quello che dovrebbe essere l’ambiente di lavoro del personale sanitario e sociosanitario e che, invece, sembrano essere ormai entrate a far parte di una triste routine”.
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Ma “noi non siamo più disposti ad accettare tutto questo - dice il sindacalista, che da anni segue da vicino le vicende del comparto sanità - e, dopo l’episodio di Adria e quello al consultorio di Rovigo del mese scorso, chiediamo che venga fatto tutto il possibile per evitare questa deriva di violenza continua nei confronti di chi lavora al servizio degli altri e che non può e non deve essere esposto a rischi di questo tipo. O, quanto meno, non possono essere rischi così alti. Perché quello che lascia esterrefatti è la frequenza con la quale questi episodi barbari continuano a ripetersi, da una struttura all’altra. Centinaia di aggressioni praticamente ogni giorno, fra quelle segnalate e quelle che invece restano dietro le quinte. La dimensione del fenomeno è spaventosa e richiede interventi forti e decisi”.
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Per Pavarin vanno “riconosciamo gli sforzi fatti, ma non possiamo nascondere tutta la nostra preoccupazione dinnanzi al fatto che, ancora oggi, non si riescano ad evitare o comunque bloccare sul nascere questo tipo di gravi episodi, lasciando che tutto ricada sulla professionalità e la pazienza degli operatori. E’ una questione che investe tutta la società e, per questo, chiediamo a chi ha ruoli politici di farsi carico di questa situazione che investe in primis la sicurezza di chi ci cura ma, quindi, in seconda battuta di tutti noi, perché se l’ospedale non è più sicuro, il problema non è solo di chi ci lavora”.
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