VOCE
lo studio
17.02.2025 - 09:31
Sempre meno, sempre più isolati e sempre più anziani. Nel 2043, ovvero fra appena 18 anni, secondo le statistiche demografiche sperimentali dell’Istat, il 37,13% della popolazione polesana avrà oltre 65 anni. Molto più di un terzo dei residenti in provincia, che per quella data vengono stimati in appena 202.620, rientrerà nella fascia che viene considerata di anzianità, pur notando che con l’allungarsi della vita media e con il miglioramento delle condizioni di salute un 65enne di oggi non può essere certo definito un “vecchio” ed è lontano anni luce da quello che era un 65enne di un centinaio di anni fa.
Il dato, però, va considerato nella sua portata, perché indica il progressivo invecchiamento che ha una velocità particolarmente in Polesine, terra con bassa natalità e scarsa attrattività. E sì, è lo stesso istituto di statistica a precisare che “i dati del presente studio, soprattutto nel lungo termine, vanno trattati con cautela. Le previsioni demografiche divengono, infatti, tanto più incerte quanto più ci si allontana dalla base di partenza, in particolar modo in piccole realtà geografiche”. Tuttavia, lo studio ha comunque un valore perché indica quale può essere il futuro se le cose sostanzialmente rimangono quelle attuali.
Quindi, una “bomba” pronta ad esplodere. Non tanto per il discorso delle pensioni, che comunque è e sarà sempre più presente, ma che investe un piano diverso da quello locale, quanto piuttosto per gli aspetti assistenziali e occupazionali. Perché, accanto ai 75.234 over 65 stimati dalle proiezioni Istat, ci saranno anche 19.664 bambini con meno di 14 anni, analogamente bisognosi di assistenza, e 6.555 ragazzi fra 15 e 19 anni che, per come vanno le cose ora, sono a loro volta non autonomi. In tutto 101.453 persone formalmente fuori dal mondo del lavoro, quindi oltre la metà del totale dei residenti stimati, a fronte di 101.167 in età da lavoro, sulle spalle dei quali ricadrà tutto. Con la difficoltà di trovare medici, infermieri, ma anche postini, idraulici, impiegati.
Guardando al dato più significativo, ovvero il rapporto fra popolazione in età attiva, 20-65 anni e in età da pensione, considerando, un po’ ottimisticamente visti gli scenari pensionistici, tutte le persone con più di 65 anni, si passa da 2.09, ovvero due lavoratori per ogni anziano, ad un rapporto di quasi parità, ovvero 1.34, quasi un lavoratore per un anziano. In crescita esponenziale c’è l’indice di dipendenza strutturale, che è il rapporto tra la popolazione in età non attiva, ovvero sia quella fra 0 e 14 anni e quella con 65 anni e più, e la popolazione in età attiva, dai 15 ai 64 anni: già nell’ultima relazione sulla performance dell’Ulss Polesana, si spiega che “nel territorio dell’azienda si osserva una lieve crescita di tale indice, a significare un sempre maggior peso sulle classi ipoteticamente in età lavorativa”, dal 58,2% del 2017 al 62% del 2023. Già sopra il 50% significa che c’è uno squilibrio. Ecco, nel 2043 si arriverà al doppio: il 99,72%.
Una prospettiva decisamente fosca perché con il totale ribaltamento di quella che era la piramide delle età, ovvero con un numero alto di giovani a fronte di un numero ridotto di anziani, il sistema rischia di implodere. E proprio in zone periferiche come il Polesine si inizieranno a vedere i primi effetti deflagranti di questa situazione.
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