VOCE
Agricoltori
28.02.2025 - 17:58
Trecenta, Bagnolo di Po, San Pietro Polesine. Batte nel profondo Alto Polesine il cuore della protesta degli agricoltori, che oggi (28 febbraio) hanno portato una sessantina di trattori nell’area Censer. Praticamente nessuno dall’area compresa tra Rovigo e Adria, né tanto meno dal profondo Delta.
Sulle loro cabine, bandiere tricolori e il simbolo dell’associazione Agricoltori Uniti Rovigo. Niente associazioni di categorie tradizionali, a cui, anzi, vengono indirizzate forti critiche, anche se Confagricoltura, con il presidente provinciale Lauro Ballani, cerca di strizzare l’occhio agli scontenti: “E’ l’ennesimo segnale di uno stato di sofferenza del settore agricolo. E quello polesano non fa eccezione, in particolare per quanto riguarda alcuni tipi di coltivazioni come cereali, soia e mais e frutticoltura”.
“In un anno - spiega Giovanni Casarotto, di Trecenta, uno dei leader della protesta - soltanto in Polesine hanno chiuso 500 aziende agricole, 200 soltanto in questo inizio di 2025”. Anche a questa diaspora, gli organizzatori imputano il calo della partecipazione alla manifestazione rispetto all’adunata oceanica del 5 febbraio dello scorso anno, quando sul Corso sfilarono oltre 500 trattori, mandando in tilt il traffico cittadino. Quella di oggi, invece, è stata una manifestazione diversa: niente blocchi del traffico, con gli agricoltori giunti in città dall’Alto Polesine alla spicciolata e il raduno statico dei mezzi nel piazzale del Censer.
Solo una delegazione di dieci trattori, poi, si è distaccato raggiungendo piazza Matteotti, con cinque rappresentanti dell’associazione, tra cui Casarotto, che sono stati ricevuti dal prefetto Franca Tancredi. “Ha ascoltato i motivi della nostra protesta - dice lo stesso Casarotto - che riguarda il basso prezzo di vendita dei nostri prodotti, la concorrenza sleale che subiamo da certi importatori, e i danni provocati dalle nutrie. Il prefetto ne ha preso atto, e trasferirà le nostre richieste al ministero”.
Ma il grande nemico degli agricoltori che hanno aderito alla protesta resta l’Europa. “Politiche come quelle del Green deal stanno mettendo in ginocchio il settore. La bieticoltura non esiste più: siamo passati da 33mila a 18mila ettari coltivati, e ormai in Italia resta un solo zuccherificio. Ormai per continuare a fare questo lavoro ci vuole coraggio”, dicono.
Il prossimo 10 marzo la mobilitazione sarà replicata a Verona, e proprio oggi, al Censer, erano presenti anche due piccole delegazioni di colleghi non polesani, una proprio dalla provincia scaligera e l’altra arrivata dalla vicina bassa padovana. Un nuovo inizio delle proteste degli agricoltori come quelle vissute lo scorso anno? La “piazza” stessa è sfiduciata: “E’ sempre peggio, la sensazione è che non otterremo nulla e dunque in pochi si mobilitano mettendo da parte, per un giorno, il proprio lavoro in un momento che è già problematico”, dice qualcuno.
I leader della protesta, invece, cercano di dare un senso alla giornata. “Vogliamo aprire un dialogo anche con i consumatori - spiega Casarotto - perché non è possibile che i prodotti che a noi vengono pagati pochi centesimi al chilo vengano poi venduti nei supermercati a un prezzo moltiplicato di 10 volte e più. Dobbiamo muoverci uniti per chiedere di contenere questi rincari. Anche nel nostro settore è in atto una crisi etica, e la speculazione finanziaria ci ha ormai compromessi”.
Critiche raccolte, appunto, da Confagricoltura. “Auspichiamo un’inversione di linea, a cominciare dall’Ue, sulla ricerca, sui fitofarmaci e su altri fronti, che devono metterci al passo con i competitor stranieri”, dice in una nota lo stesso Ballani. Ma gli agricoltori “Uniti”, oggi, in piazza, erano decisamente più soli di un anno fa.
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