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sanità
05.03.2025 - 20:06
L’Ulss Polesana va a caccia di medici. E, in particolare di medici di medicina generale, i “medici di famiglia”. Perché per colmare tutte le lacune e rendere anche possibile la “libera scelta” oltre che carichi meno opprimenti per i medici stessi, ne servirebbero 121.
E, più nel dettaglio, secondo una prima ricognizione provvisoria, per quanto riguarda il Distretto 1, ne mancano 6 nell’abito territoriale 1 di Bergantino, Castelmassa, Castelnovo Bariano e Melara, 4 nell’ambito 2 di Calto Ceneselli, Ficarolo, Gaiba, Salara e Stienta, 3 nell’ambito 3 di Bagnolo, Canda Castelguglielmo, Giacciano con Baruchella e Trecenta, 4 nell’ambito 4 di Badia, 5 nell’ambito 5 di Lendinara, 8 nell’ambito 6 di Fratta, Lusia, Pincara, San Bellino e Villanova del Ghebbo, 11 nell’ambito 7 di Canaro, Fiesso e Occhiobello. 4 nell’ambito 8 di Arquà, Bosaro, Costa Frassinelle e Villamarzana, ben 30 nell’ambito 9 di Rovigo, Boara Pisani e San Martino, 6 nell’ambito 10 di Crespino, Guarda, Polesella, Pontecchio e Villanova Marchesana, e 5 nell’ambito 11 di Ceregnano, Gavello e Villadose, mentre per quanto riguarda il Distretto 2, la carenza stimata è di 9 medici nell’ambito 1 di Adria, Papozze e Pettorazza, di 8 nell’ambito 2 di Ariano, Corbola e Taglio di Po, di 7 nell’ambito 3 di Porto Tolle e di 11 nell’ambito 4 di Loreo, Porto Viro e Rosolina.
Messa così può sembrare un numero enorme e, in effetti, lo è per una provincia di circa 230mila abitanti. Tuttavia, non solo, per esempio, l’Ulss 6 Euganea di Padova ha ben 400 zone carenti, ma va anche detto che questi numeri devono essere spiegati bene, essendo frutto di due parametri che vanno chiariti.
Il primo è che il calcolo è fatto sullo scenario perfetto, ovvero con un numero di pazienti per medico pari a 1.200. Un rapporto che, pur essendo previsto dal contratto, è lontano dalla realtà, perché quasi tutti ormai hanno almeno 1.500 pazienti, se non addirittura 1.800 e anche oltre. Secondo uno studio della Fondazione Gimbe in Veneto il 68,7% dei medici di base ha oltre 1.500 pazienti. Questo perché, come è tristemente noto, il numero di medici in tutta Italia è drammaticamente basso. E, quindi, il problema non è solo polesano, né tanto meno solo veneto. Fra l’altro, fra pensionamenti e scarsità di nuovi medici, quest’anno e il prossimo potrebbero segnare il punto più basso della disponibilità di camici bianchi nel nostro Paese.
Perché gli effetti dei correttivi che sono stati apportati, non si vedranno prima di un biennio, anche se, paradossalmente, dal 2027 al 2032, si potrebbe sviluppare il fenomeno contrario, cioè quello della “pletora medica” con un numero di medici superiore a quello necessario a coprire pensionamenti e lacune. Ma questo è il futuro ipotetico, mentre il presente ha numeri tristemente diversi.
Il tutto mentre la sanità territoriale sta vivendo una rivoluzione, con la riorganizzazione dell’assistenza socio sanitaria territoriale così come prevista dal Decreto 77 del Ministero della Salute del maggio 2022 e finanziata dalla missione 6 del Pnrr, in particolare con le “Case della comunità”, che son una sorta di nuovi “Punti Sanità”, più evoluti. E, proprio per questo, da quest’anno la Regione Veneto, “in ordine alla necessità di ridisegnare la rete di assistenza sanitaria regionale territoriale con professionisti e prestazioni disponibili in modo capillare su tutto il territorio nazionale”, con la deliberazione del 10 febbraio scorso ha stabilito “le prime indicazioni per le procedure di assegnazione delle zone carenti per l’anno 2025 previste dagli Accordi Collettivi Nazionali per la medicina generale e per la pediatria di libera scelta sottoscritti nel corso dello scorso anno, per l'avvio del ruolo unico di assistenza primaria e per l'attivazione delle aggregazioni funzionali territoriali”.
Come prevede il contratto nazionale, l’incarico di medico del ruolo unico di assistenza primaria “comporta lo svolgimento di attività a ciclo di scelta e attività oraria pari a 38 ore settimanali, con progressiva riduzione dell’attività oraria rispetto all’aumento delle scelte in carico fino al massimale di 1.500 assistiti. La modulazione tra le due attività comporta l’adeguamento dell’attività oraria come di seguito indicato: dal conferimento dell’incarico fino a 400 assistiti, 38 ore; da 401 a 1.000 assistiti, 24 ore; da 1.001 a 1.200 assistiti, 12 ore; da 1.201 a 1.500 assistiti, 6 ore. L’Azienda provvede all’adeguamento dell’attività oraria entro i 3 mesi successivi al raggiungimento del limite numerico di assistiti di ciascuna fascia”. Un passaggio che va verso la nuova forma della sanità territoriale, ma non ancora la ventilata ipotesi di rendere i medici di medicina generale dipendenti.
La novità del ruolo unico è proprio il secondo parametro da valutare nel soppesare le “zone carenti”, che sostanzialmente sono le scoperture per area, perché ora non si considerano più i due elenchi distinti dell’assistenza primaria a ciclo di scelta e della continuità assistenziale, denominazione di quella che ancora nel gergo comune si chiama guardia medica. Quindi, per intendersi, rispetto alle zone carenti dello scorso anno, 60 per i medici di medicina generale e 44 per la continuità assistenziale, le ulteriori lacune solo “solo” 17.
Le lacune vere e proprie, considerando i massimali non a 1.200 ma ben più alti sono molte meno, tuttavia va considerato che ci sono dei pazienti che non hanno di fatto un medico, tanto che per evitare “scoperture”, l’Ulss Polesana ha attivato gli “ambulatori di continuità assistenziale diurna”, Ucad, a Bergantino, Melara, Sant’Apollinare, Rovigo città e Polesella, riservati agli assistiti che, momentaneamente, non hanno ancora potuto effettuare la scelta del medico di medicina generale.
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