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"Granchio blu, noi lo utilizziamo così"

Un progetto dell'Università di Padova lo trasforma in risorsa per pet food, stampa 3D e industria farmaceutica

Invasi dal granchio blu

Nel cuore del Polesine, una rivoluzione silenziosa sta trasformando una minaccia ecologica in una risorsa preziosa. Il granchio blu, una specie aliena invasiva originaria degli Stati Uniti, ha devastato l'ecosistema lagunare italiano, mettendo in ginocchio l'industria della pesca locale. Tuttavia, grazie all'ingegno e alla determinazione del dipartimento di Biomedicina comparata e Alimentazione dell'Università di Padova, guidato dalla ricercatrice Marta Castrica, questo problema si sta trasformando in un'opportunità unica.

Il progetto pilota "RiPesca", sviluppato in collaborazione con l'Università degli Studi di Milano e il Ministero dell'Agricoltura, della Sovranità Alimentare e delle Foreste (Masaf), ha dato vita alla prima filiera italiana per la valorizzazione degli scarti ittici. L'impianto, situato presso il Consorzio delle cooperative pescatori del Polesine a Porto Tolle, Rovigo, è stato finanziato con 40mila euro dall'Università di Padova. Qui, un innovativo macchinario brevettato dalla start-up Feed From Food srl trasforma il granchio blu in una polvere granulosa simile a farina, pronta per essere utilizzata in diversi settori.

La polvere di granchio blu ha trovato applicazioni sorprendenti. È già utilizzata come mangime per animali da compagnia in collaborazione con un mangimificio veneto, e sta aprendo nuove frontiere nella stampa 3D e nell'industria farmaceutica, grazie alla sua ricchezza di chitina, una sostanza preziosa e costosa. La ricercatrice Castrica non esclude nemmeno un suo utilizzo alimentare, immaginando un futuro in cui potrebbe essere servito come dado da minestra, previa creazione di un protocollo specifico.

L'invasione del granchio blu ha avuto un impatto devastante sull'economia locale. Il Consorzio delle cooperative pescatori del Polesine ha visto il suo fatturato crollare da 60 milioni a 13 milioni di euro, con una drastica riduzione delle specie autoctone come vongole e cozze. Emanuele Rossetti, responsabile sanitario della qualità negli impianti del consorzio, sottolinea la perdita di lavoro per molti pescatori, una sfida che il progetto RiPesca spera di mitigare.

Il progetto RiPesca è destinato a concludersi a gennaio, ma le speranze per una fase 2 sono alte. Se rifinanziato, il progetto potrebbe portare all'installazione permanente del macchinario, offrendo nuove opportunità di lavoro e contribuendo al ripristino dell'ecosistema lagunare. Questa iniziativa rappresenta un esempio di come l'innovazione e la collaborazione possano trasformare una crisi ambientale in una risorsa sostenibile per il futuro.

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