VOCE
VENETO
17.04.2025 - 21:00
Durante la prima ondata della pandemia di Covid-19, il lavoro da remoto è stato un'ancora di salvezza per molti, permettendo di continuare le attività lavorative. Tuttavia, un recente studio condotto dalle università di Padova e Venezia, in collaborazione con l'Ifo Institute di Monaco, ha messo in luce un aspetto meno noto: l'impatto psicologico negativo che il lavoro da casa ha avuto su alcuni gruppi di persone.
La ricerca, pubblicata sulla rivista "Journal of the Economics of Ageing", ha analizzato come il lavoro da remoto abbia influenzato il benessere psicologico dei lavoratori senior nei primi mesi della pandemia. I risultati sono stati sorprendenti: chi ha lavorato da casa ha mostrato una maggiore diffusione di sintomi depressivi rispetto a chi ha continuato a lavorare in presenza. Questo effetto è stato particolarmente marcato nelle regioni con un contagio relativamente contenuto ma con misure restrittive molto rigide. Giacomo Pasini, professore di Econometria e direttore del Dipartimento di Economia a Ca’ Foscari, ha spiegato che il senso di isolamento, le incertezze sul futuro lavorativo e le tensioni familiari possono aver contribuito a questo disagio.
Non tutti hanno vissuto il lavoro da remoto allo stesso modo. Lo studio ha evidenziato che le donne, i single e i genitori con figli conviventi hanno subito un impatto psicologico più rilevante rispetto ad altri gruppi. Questo suggerisce che le dinamiche familiari e sociali giocano un ruolo cruciale nel determinare come le persone affrontano il lavoro da casa.
Per indagare questi fenomeni, i ricercatori si sono basati sui dati della Share - Survey of Health, Ageing and Retirement in Europe, che raccoglie informazioni su individui con più di 50 anni in 27 Paesi europei. Marco Bertoni, professore di Economia all’Università di Padova e coautore dello studio, ha sottolineato l'importanza dell'approccio statistico avanzato utilizzato per isolare l'effetto specifico del lavoro da remoto da altri fattori legati alla pandemia.
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