VOCE
il caso
05.06.2025 - 06:53
I cellulari venivano pagati, ma non arrivavano
In un'epoca in cui la privacy digitale è sempre più minacciata, la Corte di Cassazione italiana ha emesso una sentenza che potrebbe fungere da monito per chiunque pensi di poter violare impunemente lo spazio comunicativo privato di un'altra persona. La decisione, che ha respinto il ricorso di un uomo condannato per aver estratto messaggi dai telefoni della sua ex moglie, sottolinea la gravità dell'accesso abusivo a sistemi informatici, un reato che può comportare fino a 10 anni di reclusione.
Il caso ha avuto origine a Messina, dove un uomo è stato condannato a sei mesi di reclusione per aver violato la privacy della sua ex moglie. L'uomo aveva estratto messaggi e registri chiamate dai telefoni della donna, utilizzando queste informazioni in tribunale durante la causa di separazione. La Corte d'Appello di Messina aveva già emesso la condanna, che includeva anche un'accusa di violenza privata per un altro episodio.
La Corte di Cassazione ha confermato la sentenza, chiarendo che l'accesso abusivo a un sistema informatico protetto da password è un reato grave. Gli ermellini hanno sottolineato che anche applicazioni di messaggistica come WhatsApp rientrano nella definizione di "sistema informatico", essendo progettate per gestire comunicazioni attraverso reti di computer. La sentenza ha inoltre chiarito che il reato si configura non solo con l'accesso non autorizzato, ma anche con il mantenimento dell'accesso oltre i limiti consentiti.
Questo caso mette in luce le implicazioni legali e sociali dell'accesso non autorizzato ai dispositivi digitali. La protezione dei dati personali è un diritto fondamentale, e la sentenza della Cassazione rafforza l'importanza di rispettare la privacy altrui. La decisione è particolarmente rilevante in un contesto in cui la tecnologia permea ogni aspetto della vita quotidiana, rendendo la protezione dei dati una priorità assoluta.
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