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INTERVISTA

Corbola: “Fusione per non morire”

Il sindaco Domeneghetti dichiara: “Stiamo riflettendo con la vicina Papozze. L’unione appesantisce”

In undici escono dalla “quarantena”

Michele Domeneghetti, sindaco di Corbola

Il sindaco Domeneghetti dichiara: “Stiamo riflettendo con la vicina Papozze. L’unione appesantisce”

CORBOLA - Corbola, 2.229 abitanti nel cuore del Delta, è un paese da cui molti emigrano, ma che è molto legato alle sue radici e alla sua storia, così forti che anche chi va via, non dimentica o rinnega. Il sindaco Michele Domenegetti ne è convinto. Appena riconfermato per il suo terzo mandato alla guida di Corbola, racconta il suo legame profondo con la sua terra e la visione per il futuro. In un contesto storico unico, spesso dimenticato anche dai suoi stessi abitanti, Domenegetti lancia la sfida di riscoprire radici, potenzialità e orgoglio locale.

Sindaco, lei è originario di Corbola, ha studiato e lavorato fuori, poi è tornato. Cosa l'ha spinta a fare questa scelta?

"Sono rimasto qui perché mi sento particolarmente legato alla mia terra. Ho amici, famiglia, ma soprattutto la consapevolezza che qui si può vivere bene, e non è scontato altrove. È stata una scelta, non un ripiego."

Che idea si è fatto dei cittadini di Corbola oggi?

"Li trovo vivaci, combattuti tra due idee: da una parte il forte legame alle tradizioni, dall’altra il richiamo verso l’altrove. È una caratteristica tipica delle terre di confine come la nostra, con una storia di passaggi, contese, identità mutevoli. Qui c’è sempre stato il senso di essere in bilico, tra ciò che si è e ciò che si potrebbe diventare”.

Eppure Corbola ha un’importanza storica rilevante, spesso dimenticata. Di chi è la colpa?

"In primis nostra. Teniamo poca memoria del valore che abbiamo sotto i piedi. È vero che siamo una terra umile, senza grandi picchi, ma qui sono passati personaggi di rilievo come Pico della Mirandola. Eppure, manca la curiosità di riscoprire e valorizzare queste storie. Diamo poca importanza a ciò che possediamo e questo è un errore."

Nel Dna dei corbolesi è rimasto lo spirito di emergere o prevale la rassegnazione?

“C’è ancora quella pulsione alla fuga, alla ricerca di un riscatto. Ma al tempo stesso, anche chi parte mantiene un forte legame con le origini. Rosetta Pampanini, Rik Battaglia: partiti da qui, hanno sempre ricordato da dove venivano. E’ un tratto che resiste, nonostante i tempi”.

A Corbola, come in altre zone del Delta, molte case restano vuote e abbandonate. E’ pronto il paese ad accogliere chi potrebbe arrivare da fuori?

“Non del tutto. Le potenzialità ci sarebbero, anche turistiche, ma manca una visione imprenditoriale. Ci si accontenta troppo di lasciare tutto com'è, mentre basterebbe poco per rendere il nostro paese appetibile a giovani coppie o a chi cerca un luogo tranquillo e autentico. Dobbiamo superare questa mentalità”.

C'è chi propone di unire i comuni del Delta per affrontare insieme le sfide future. Lei che ne pensa?

“Attenzione a non confondere unione con fusione. Le unioni di comuni spesso appesantiscono la burocrazia. Ma una fusione vera, ragionata, potrebbe essere un’occasione. Ne stiamo parlando con i colleghi, come Pierluigi Mosca di Papozze. Condividiamo storia, dialetto, tradizioni. Il Po non deve essere più una barriera, ma il tratto d’unione”.

Il Parco del Delta del Po Veneto che ruolo ha in tutto questo?

“E’ fondamentale. Non solo come ente, ma come piattaforma che legittima e valorizza il nostro territorio. L’ente Parco può essere il facilitatore che ci permette di portare avanti progetti e attrarre risorse. Ma deve anche superare il rischio di diventare solo un contenitore. Ha il potenziale per essere motore di cambiamento e di unione tra i comuni”.

Come vede il futuro del Delta e di Corbola nei prossimi dieci anni?

“Se sapremo avere il coraggio di crederci davvero e di collaborare, il futuro sarà positivo. Il turismo lento, il valore ambientale e culturale, le nostre radici possono essere il volano. Ma serve consapevolezza e una progettualità condivisa. È il momento di smettere di pensare che qui ‘non c’è niente’ e cominciare a riscoprire ciò che siamo e ciò che possiamo diventare”.

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