VOCE
CULTURA
11.06.2025 - 21:19
“E’ troppo tardi per sognare?”: con questa domanda, che suona come una provocazione, inizia il primo evento in programma per la ventunesima edizione del Festival Opera Prima che in questi giorni arricchirà l’offerta culturale della città tra le piazze e le vie del centro storico, sperimentando tra teatro contemporaneo, danza e musica.
“Dunque, siamo!” il nome della produzione di MoMec che anche quest’anno è al festival con un lavoro introspettivo, pensato per uno spettatore alla volta, anello di congiuntura con le edizioni passate, sempre attento a far guardare dentro, a far riflettere, a porre domande, a infondere coraggio anche quando prevale l’imbarazzo. In un rito iniziatico tra il buio più profondo della solitudine e la luce di chi accompagna, si snoda il senso della vita, con voci che ricordano le innumerevoli morti insensate, per via di guerre o per le vie del mare, che sono all’ordine del giorno, che quasi si ascoltano senza più reagire e nemmeno interagire con esse.
Allora, il concetto chiave è quello di ritornare umani nella forma più primitiva del termine, quella di ritrovare il senso della relazione con l’altro, ma anche con sé, quello di comprendere quale potrà essere la propria rivolta, soprattutto quando questo porta anche a doversi esporre, cosa più che mai assoluta in questo momento storico, ma mai fattiva, nel reale: lo spazio virtuale ha lasciato poco spazio al coraggio di lottare, soli e con gli altri. Il lavoro, creato da Mario Previato con Fiorella Tommasini e Antonia Bertagnon, accompagna dunque nelle stanze più intime del cuore umano.
La giornata è poi continuata in serata con il grande ritorno a Rovigo di uno dei suoi più grandi artisti d’adozione della città: Thierry Parmentier, non da solo, ma accompagnato dalla compagnia Bahia e da Amalia Salle, anche coreografa. In un viaggio onirico tra dolcezza e speranza, tra amarezza e bellezza, l’invito è quello di fare i conti con la fragilità della memoria, attraverso tante storie, attraverso il confronto tra più generazioni con artisti che vanno dai venti ai settant’anni. Un dono fragile, quello dell’identità costruita tramite la memoria, che diventa forza quando è l’amore a far emergere ciò che non c’è più. Una storia di ognuno che è storia di tutti, di famiglie, che vivono quotidianamente l’oblio. Con poesia e incanto, tutto questo è stato possibile grazie alla sinuosità di un movimento che ha accompagnato lo spettatore, nello splendere della vita, nella luce del quotidiano. A seguire, la musica di Amarti.
Gli eventi continuano giovedì con Momec che si riproporrà fino a domenica per tutto il pomeriggio negli esterni della Gran Guardia. Dopodiché, gli spettacoli saranno alla sera: alle 20 al chiostro degli Olivetani ci sarà Annalisa Limardi con “No”, mentre alle 21.30 al teatro Studio Alot teatro con “Veni”, uno studio. Il primo è un lavoro che rielabora una profonda ferita, quella di un abuso, mentre il secondo sarà una performance musicale corale, re-immaginando alcuni canti polifonici di tradizione orale del Mediterraneo.
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