VOCE
le reazioni
25.06.2025 - 06:00
Dopo l’inasprirsi delle tensioni in Medio Oriente, tra Israele, Iran e Stati Uniti, anche in Polesine si alza il livello di allerta. Il prefetto ha deciso di rafforzare i controlli: occhi puntati su sedi sensibili, aziende strategiche, infrastrutture. La guerra, per ora, sembra lontana. Ma la paura, quella sì, è più vicina.
Angelo riflette con lucidità sul momento attuale: “Penso che il prefetto abbia fatto bene: è un accorgimento che ci può sembrare eccessivo, ma in realtà è realistico. Viviamo in un Paese che ospita basi americane: se dovessero entrare in gioco attivamente, rischieremmo di essere coinvolti. Mi auguro che i governi trovino soluzioni diplomatiche, ma la situazione è davvero delicata.”
Claudia ha una visione più circoscritta ma non per questo meno consapevole: “Non credo che il Polesine sia un obiettivo diretto. Forse non è il nostro territorio ad essere più a rischio. Ma il contesto nazionale impone attenzione, specie verso le basi Nato e i grandi centri urbani. L’allerta non va sottovalutata.”
Vito guarda alle conseguenze più concrete del conflitto: “La minaccia non è solo militare. Basta poco perché qualcuno faccia un gesto folle, anche lontano dai fronti. Ma la guerra porta anche effetti collaterali pesanti: l’energia costa di più, i trasporti rallentano, le materie prime scarseggiano. E chi lavora, chi ha una famiglia, lo sente subito”.
E poi c’è Antonio, padre di due adolescenti, che guarda al futuro con un velo di inquietudine: “La misura di sicurezza è necessaria, ma non basta. Bisogna fare di più per proteggere chi verrà dopo di noi. I miei figli vivranno in un mondo molto diverso, e mi chiedo spesso se saranno pronti, se noi stiamo dando loro gli strumenti giusti. La speranza è nella loro intelligenza emotiva, nella loro capacità di adattarsi e resistere.”
Tra precauzione e inquietudine, il Polesine si scopre parte di uno scacchiere più grande, dove anche i territori apparentemente marginali diventano tasselli di una partita globale. Le decisioni prese a Roma, Bruxelles o Washington si riflettono sui gesti quotidiani delle comunità locali. E mentre le città continuano il loro ritmo, tra mercati, scuole e traffico, resta una consapevolezza condivisa: la pace è un bene fragile. E la distanza tra “là” e “qui”, oggi, è più corta di quanto sembri.
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